Ozpetek non incanta
Ieri la pellicola ha ricevuto una fredda accoglienza dalla stampa, mentre il cast straordinario (che comprende anche Monica Guerritore, Valerio Binasco, Stefania Sandrelli, Nicole Grimaudo, Angela Finocchiaro e Federico Costantini) e lo stesso Ozpetek sono stati applauditi durante l'incontro stampa ufficiale. Il regista italo-turco è apparso comunque ottimista: «Non è un film che ti strappa applausi, il finale ti lascia una forte sensazione, quasi ti blocca. A me, confesso, piace piacere sempre a tutti, questo è un lavoro in cui si vuole il gradimento, non sono tra quelli che dicono non m'importa della critica. In questa storia Emma è vittima ma non solo. C'è anche una grande solidarietà femminile e penso da sempre che le donne siano superiori agli uomini, abbiano un organo in più, e non da oggi. Il romanzo della Mazzucco é molto più violento del film. Ma sarebbe stato quasi insopportabile da guardare», mentre la scrittrice aveva chiesto una sola cosa, il rispetto per il finale che pur nella tragedia è di speranza e «ne viene fuori un'esplorazione del mondo femminile molto affascinante», ha commentato ieri l'autrice. Per lavorare in questo film (prodotto da Fandango con Rai Cinema e da venerdì distribuito in 400 copie da 01) la Ferrari, che qui appare ingrassata e involgarita, ha confessato apertamente di essersi per la prima volta candidata ad un ruolo con un semplice sms, «pur sapendo che c'erano molte attrici disposte a fare quella parte». Mastandrea ha poi rivelato che se fosse stato padre non avrebbe mai potuto accettare una parte del genere: «Ferzan cercava quotidianamente di non giudicare il mio personaggio, diceva che per lui bisognava provare tenerezza, diceva di non condannarlo. Io invece lo volevo condannare, mi sentivo eticamente distante da lui. A film finito ho capito che il giudizio è uno solo: stiamo raccontando la razza umana, la cosa più affascinante e terribile che esista», ha spiegato l'attore. Alla Ferrari, che prova «sempre pudore nel raccontare una scena» da lei interpretata, stavolta «è bastato guardare negli occhi Valerio per avere coraggio e fiducia in quello che stavo facendo». Mentre Mastandrea ha voluto «rimuovere molte cose di una scena di violenza, nel rispetto per noi e per chi certe cose le ha vissute veramente». Ieri in concorso alla Mostra di Venezia è passato anche il film asiatico «Plastic City» del regista di Hong Kong Yu Lik-Wai, che racconta il declino del potere, del denaro, dei legami familiari e del successo, attraverso una storia di gang sino-giapponese a San Paolo: sospeso tra gangster movie e fantascienza, realtà cruda e fiction, il film non convince fino in fondo e rischia di annoiare. Fuori concorso è stato invece applaudito «Vinyan» (Anima errante) del regista belga Fabrice Du Welz, che rievoca la tragedia collettiva dello tsunami in Thailandia, attraverso la vicenda di una coppia che perde il proprio figlio: qualche tempo dopo il dramma, Jeanne (Emmanuelle Béart) e Paul (Rufus Sewell) credono di rivedere il bambino in un video girato in Birmania e intraprendono così un viaggio spettrale nella giungla per ritrovarlo, in una sorta di ghost story al contrario, dove la coppia scivola in una realtà fantasma. Tra gli eventi collaterali della Mostra, ha destato interesse anche il documentario, girato tra Kabul e Khartoum, «Domani torno a casa» di Paolo Santolini e Fabrizio Lazzaretti, cinema della realtà su due bambini, vittime della guerra e della povertà, salvati da Emergency.