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Toscani: "Sogno una strage di madri"

Oliviero Toscani

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La bandiera che verrà issata oggi sul tetto del Palazzo Comunale di Salemi rischia di non essere mai ammainata. È quella del Tibet: l'allegra brigata composta dal sindaco Vittorio Sgarbi e dall'assessore ai Diritti Umani, Oliviero Toscani, si ripromette di esporla fino a quando il governo di Pechino non concederà piena autonomia ai concittadini del Dalai Lama. «Vuol dire che resterà a sventolare lassù per sempre», opina il fotografo autore delle più controverse campagne di comunicazione degli ultimi decenni. Domani andrà in Umbria per ricevere, dalle mani di Paolo Bonolis, il premio alla creatività per la rassegna "Life in Gubbio". Intanto, in Sicilia si "diverte". «Da quando qui c'è Sgarbi avete capito tutti dov'è Salemi», scherza Toscani «e possiamo fare cose concrete, non "politicate" a vuoto». Vittorio & Oliviero hanno anche approvato la missione dell'assessore al Nulla Graziano Cecchini (il futurista della Fontana di Trevi in rosso) infiltratosi in territorio birmano. «Ogni tanto manda notizie: e chi lo ammazza, lui?». Il Tibet, Myanmar...Toscani, ma a queste battaglie di solidarietà si aderisce per sincera convinzione o magari solo per obbligatorio idealismo? «È il conformismo della democrazia, e va bene così. Io non voglio fare il rivoluzionario, semmai provocare. Ma a Salemi non abbiamo affari con la Cina, possiamo permetterci di dire le cose come stanno». Si alza la bandiera, e tutti felici. «Mica facciamo solo quello. Con la mia Bottega della comunicazione abbiamo bandito un concorso per architetti di fama mondiale per far costruire un ministero...pardon, un monastero buddista sulla montagna della Pomaia, nel Pisano. Lì sul crinale c'è una cicatrice aperta, è la cava di pietra con cui hanno realizzato l'autostrada. La richiuderemo». "Ministero" invece di "monastero": lapsus impagabile. «Ci sta: i conventi sono i luoghi del marketing delle religioni, che hanno i loro amministratori». Che dire dell'amministratore cattolico? «Ratzinger? Fortissimo, un grande nemico per gli antipapi, grazie al suo particolare cinismo. Non è un Giovanni XXIII». E neppure un Wojtyla. «Hmm. No. E Benedetto XVI mi intriga perché combatte strenuamente l'omosessualità fra i preti. Io che, mio malgrado, ho frequentato in gioventù un collegio so che rischi si corrono, sul piano fisico. Ha presente la "Mala education" di Almodovar?». Ma la sua non era una famiglia laica? «Sì, ma avevano scoperto che invece di andare a scuola mi infilavo nei cinema, e decisero che avevo bisogno di disciplina. Però qualcuno di quelli con la tonaca attentava alla mia virtù». Un marziano le chiede un'immagine per raccontare l'Italia. «Vediamo...Scatterei una foto inttitolata "la strage delle madri". Per salvare questo Paese dobbiamo rendere orfani quei milioni di giovani che girano con il cachemire annodato in vita e la pappa fatta. I ragazzi italiani devono andare a capire il mondo: tra gli europei sono quelli che parlano meno lingue straniere». E con un omicidio di massa risaniamo l'Italia? «Questo Paese di m... sopravvive grazie all'autodisciplina di una minoranza che ha voglia di lavorare. Pensiamo di essere bravi, poi vai all'estero e se competi con un tedesco o un inglese devi dimostrare di essere un professionista, e loro no. Ci sentiamo campioni del mondo di tutto, anche quando producevamo vino al metanolo e dicevamo che era meglio del Bordeaux. In Francia sono ignoranti, ma la loro destra è più a sinistra del Pd». Il partito che lei ha definito la "zuppa di Veltroni". «Immangiabile, no? Questa sinistra la racconti con cinque "p"». Quali? «Presunzione, pigrizia, pessimismo, paura. E pirla, detto con affetto a chi so io. Basta con questo strano buonismo, la sicumera di credersi dalla parte giusta della Storia. Si sentono anche loro unti dal signore: c'è un'analogia trasversale con Berlusconi, che dal canto suo propugna un sistema di comunicazione sovietico». Se le chiedono uno slogan per rilanciare il Pd? «"Chi ha perso anche soltanto una volta deve andare a casa. Per serietà politica"». La licenzierebbero. «Pazienza. E non mi dicano che manca un ricambio tra i leader. C'è un Bersani, per dire. Ma lui è troppo civile perché lo utilizzino». Lavorerebbe per il Cavaliere? «Non è più restaurabile fisicamente. Sembra di terracotta...quei capelli lustri. Ha i gusti caricati di un petroliere arabo...Le ragazze con le tette troppo grosse...». Obama? «Vincerà, e sarà il primo presidente ad affrontare la questione dell'abolizione della pena di morte in tutti gli Usa. Ma temo per la sua incolumità fisica, per quell'America neppure troppo profonda che lo respinge». La foto simbolo del Novecento? «Il bambino con le mani alzate nel ghetto di Varsavia. In quel gesto vedi la tragedia dell'innocenza travolta dall'apocalisse di un popolo. E un'altra di Angus Anders: c'è un muratore con dei mattoni sulle spalle, lui guarda l'obiettivo, nei suoi occhi vedi il fardello della costruzione della vita». C'è qualche tabù che Toscani non affronterà? «Spero di averne sempre, davanti a me. L'arte chiede scandalo, vede bellezza nella tragedia, si pone obiettivi estetici prima che etici. Quando dissi che l'11 settembre era un inarrivabile gesto della "fantasia" nato dalla violenza, non pronunciavo un giudizio morale o politico. Ma successe un casino. Come accaduto anche l'inverno scorso con le mie foto della modella anoressica. Polemiche a non finire. Io volevo ricordare che è la società stessa ad essere anoressica, nei sentimenti. E bulimica quando si nutre di trash in tv». La tv, il suo chiodo fisso. «Non avrò pace finché non avrò trovato i finanziamenti per l'eliminazione della televisione». Ma senza tv non vedremmo neppure il suo spot sui cani abbandonati. «"Di che razza sei, umana o disumana?". Niente male, no? Faremmo questa campagna sui manifesti, e il messaggio passerebbe comunque». Anni fa la Ue bocciò il suo progetto per un'immagine simbolo. Venticinque bambini nudi. «C'era qualche bacchettone in Commissione che, visti pisellini e patatine in libertà, voleva metter loro i pannolini. Come i braghettoni della Cappella Sistina. Opposero la scusa della lotta alla pedofilia: avevano paura delle proprie pulsioni malsane. Questa è la verità».

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