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È una regina del palcoscenico ...

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L'attrice non può che rivelarsi soddisfatta delle prove artistiche e degli incontri straordinari della sua vita, anche se non nasconde che forse una nazione più devota nei confronti della prosa, come l'Inghilterra, sarebbe stata più consona alle sue esigenze, garantendole anche una maggiore presenza sul grande schermo. Nel mese di settembre sarà impegnata a Benevento con «Le regine», nove personaggi dedicati a personaggi storici, e a Riva del Garda con «Anna dei pianoforti», su testi di Savinio. Ricevere un premio fa sempre piacere? «Dipende dal suo valore. Ne ho avuti di tutti i tipi, alcuni davvero importanti come il San Genesio, il Flaiano, il Duse o il De Sica che il Presidente Napolitano mi ha consegnato con le sue mani come avverrà ora anche per gli Olimpici. Sono contenta che non sia un premio alla carriera in quanto sembra un po' iettatorio e incoraggiante a farsi da parte. Mi emoziona tornare al Teatro Olimpico, un gioiello in cui ho recitato con Gassman in "Amleto" e con Albertazzi nell'"Agamennone" di Alfieri: è uno spazio unico come Epidauro». Ha nostalgia di quel periodo? «No, il passato siamo noi e ci resta dentro. Mi secca moltissimo l'età che avanza. Speravo che significasse saggezza e distacco, come se si guardasse tutto da una nuvola, e invece consiste in acciacchi e limitazioni fisiche pure se si gode di buona salute. Non sono una forza della natura come Albertazzi che è un ottimista convinto, infatti il mio pessimismo tendente alla depressione ci rendeva complementari quando lavoravamo insieme». Replicherebbe tutte le sue scelte? «Sul piano artistico e professionale, sì. Forse però avrei dovuto cambiare Paese: anche se il pubblico italiano mi ha dato tanto, avrei preferito esercitare la mia attività in Inghilterra. Gli spettatori stranieri sono migliori e il loro calore è inversamente proporzionale alla latitudine: più vai a nord, più si sanno entusiasmare. A Mosca nel 1968 interpretavo "Come tu mi vuoi" e poi snocciolavo versi di Puskin in russo, una lingua che avevo studiato bene: si inginocchiavano davanti a me! A Monaco di Baviera, l'anno scorso, ho ricevuto lettere di encomio per i testi incarnati la sera prima. In Italia c'è un notevole degrado culturale e scarsa adesione verso la prosa. All'estero avrei sicuramente lavorato molto di più nel cinema. Ormai è tardi e sono una vegliarda, ma Salemme mi ha offerto il ruolo di sua madre nell'ultimo film "No problem!", in uscita in ottobre». C'è un attore di oggi con cui si misurerebbe volentieri? «Potrei parlare di Servillo. I più giovani non li conosco perché vado poco a vederli». Non ha mai avuto voglia di realizzare la sua nota passione per la scrittura in un'autobiografia? «Quando pubblicai le "Lettere da un matrimonio" su mio marito Vitaliano Brancati, prima con Rizzoli e poi con Giunti, mi dissero di raccontare la mia vita. Ho letto tutte le autobiografie scritte dagli attori e non me ne è piaciuta nessuna: o sono autocelebrative o scandalistiche. Ho trovato il tono giusto solo nel mio sito web in cui ricostruisco in maniera divertente e corposa le mie avventure personali e sceniche». Quale mestiere avrebbe intrapreso, se la vocazione teatrale non avesse prevalso? «Avrei amato la danza classica, ma è una scelta che dipende molto dalla famiglia in quanto bisogna cominciare da bambini. Ho studiato un po' senza aspirare ai livelli di una professionista e fuori da ogni ambizione. Ora mi consola il pensiero che come ballerina avrei smesso da anni, mentre come attrice posso ancora affrontare la platea».

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