«Mio padre Vittorio De Sica uomo spietato con se stesso»
Una pellicola che ha avuto vicende avventurose e che, sessant'anni dopo la sua realizzazione, ha rischiato di scomparire. «Il negativo originale è ormai una poltiglia», spiega Manuel De Sica, figlio di Vittorio e presidente dell'associazione «Amici di Vittorio De Sica», che da anni è impegnata per il recupero e il restauro delle opere del grande regista. Lo sponsor di questa operazione è il Casinò di Venezia: il restauro è stato fortemente voluto dal presidente del Casinò, professor Mauro Pizzigati, che già da tempo sponsorizza operazioni culturali, per fare in modo che la casa da gioco veneziana non sia identificata solo come luogo «negativo», ma piuttosto come strumento di promozione per la città di Venezia. «Abbiamo scelto "Ladri di biciclette" - spiega il professor Pizzigati - perché è una delle opere più importanti della cinematografia italiana e il film italiano più conosciuto al mondo». Nel caso di Vittorio De Sica si tratta anche di un piccolo... risarcimento nei confronti del regista che al gioco perse molto danaro. All'epoca del film, era il 1948, Vittorio De Sica desiderava ardentemente realizzare la pellicola tratta dal libro che Luigi Bartolini aveva scritto tre anni prima. La sceneggiatura la scrisse proprio lui, De Sica, poi il suo amico Cesare Zavattini la scrisse ancora, da capo. Il cinema italiano era reduce del clamoroso insuccesso al botteghino prima di «Roma città aperta», di Rossellini, e poi di «Sciuscià» di De Sica. Del Neorealismo ancora non parlava nessuno. «Mio padre - racconta Manuel De Sica, che è nato un anno dopo la realizzazione di "Ladri di biciclette" - era all'affannosa ricerca di fondi, ma non si riusciva a convincere nessuno. Poi alla fine riuscì, grazie al conte Cicogna e all'avvocato Ercole Graziadei a trovare i soldi. Io stesso ebbi problemi prenatali, come mi raccontò mia madre, legati a quella ricerca di denaro». Manuel De Sica, come è stato realizzato il restauro di «Ladri di biciclette»? «Si è partiti dalla celluloide, da un "lavander", cioè un positivo da negativo che è stato prima restaurato a mano e poi riprodotto in digitale. Ora potrà essere trasferito, di anno in anno, sui supporti sempre più moderni e, si spera, potrà essere mantenuto per l'eternità». Quali altri film di Vittorio De Sica ha restaurato con la sua associazione? «"Umberto D.", "Miracolo a Milano", "Il tetto", un film del '56, "I bambini ci guardano", ma adesso ricominciamo da capo per digitalizzarli tutti. Fino a non molto tempo fa costava troppo, ma oggi le spese si sono abbassate, altrimenti in questo Paese senza tax shelter, che permette di detassare gli utili reinvestiti nel cinema, il restauro digitale sarebbe praticamente impossibile». Quali di questi film ama di più? «"Ladri di biciclette" e "Umberto D.", ma anche "Miracolo a Milano", che non è un film "desichiano", è un omaggio a Zavattini e poi "I bambini ci guardano" e "Il tetto". Poi mio padre smise di fare film belli, ed era lui che lo diceva, con se stesso era sempre molto severo. A un certo punto della carriera fece l'attore leggero, interpretazioni che lo facevano faticare poco. Poi negli anni Sessanta i tre "Pane e amore", nei quali, praticamente dirigeva lui gli attori». Comunque fece sempre bene. «Per lui "La ciociara", che fu realizzato per far vincere l'Oscar alla Loren, fu un ritorno alla mano sinistra... Si riprese un po' con "Matrimonio all'italiana". Era un uomo a due facce, che era sempre affascinato dalla musa tragica. Di lui Franca Valeri, ma anche Marcello Mastroianni dicevano che "faceva sempre la piroetta", aveva questo potere di rivoluzionare tutto. Aveva una contraddizione interna. Non sopportava la finzione: diceva che gli italiani si fanno scoprire davanti alla macchina da presa, mentre gli americani restano freddi. Soprattutto non sopportava che si raccontassero sempre le stesse storie: le telenovelas, lui e lei...». Sembra una lezione per i registi di oggi.