«Basta leggere questo libro per capire che Oriana Fallaci è ...

Carlo Rossella, giornalista e presidente di Medusa Film, in vacanza a St. Tropez, è già rapito da «Un cappello pieno di ciliege» (Rizzoli) il romanzo postumo di Oriana Fallaci al quale la grande scrittrice ha dedicato 20 anni tra ricerche e stesura, «un bambino molto difficile, molto esigente, la cui gravidanza è durata gran parte della mia vita d'adulta..il cui primo vagito si udrà non so quando. Forse quando sarò morta....». È l'epopea di una famiglia toscana ma cosmopolita, straordinaria saga che copre gli anni dal 1773 al 1889 e poi riprende con incursioni nel passato e in un futuro che precipita verso il bombardamento di Firenze del 1944. Ci sono Napoleone e Garabaldi ma anche uomini come Carlo che voleva piantare olivi nella Virginia di Jefferson, e donne indomite come Caterina che alla fiera indossa un cappello pieno di ciliege per farsi riconoscere dal futuro marito Carlo Fallaci o come una bisnonna paterna, Anastasìa, figlia illegittima, ragazza madre, pioniera nel Far West. Sarà il solito successo? «Basta leggere l'attacco: "Ora che il futuro s'era fatto corto e mi sfuggiva di mano con l'inesorabilità della sabbia che cola dentro una clessidra, mi capitava spesso di pensare al passato della mia esistenza: cercare lì le risposte con le quali sarebbe giusto morire. Perché fossi nata, perché fossi vissuta, e chi o che cosa avesse plasmato il mosaico di persone che da un lontano giorno d'estate costituiva il mio Io". Straordinario». Perché la Fallaci è la Fallaci? «Perché la sua opera ha sempre puntato su indignazione, commozione, testimonianza e lo ha fatto con grande professionalità e in una lingua italiana perfetta, usando pochissimi anglismi, al contrario di oggi che vengono messi ovunque...». Un valore riconosciuto? «Direi che l'Italia non le ha dato tutti i riconoscimenti che meritava. Il presidente Pertini l'aveva capita fino in fondo, lui socialista e lei della stessa estrazione. Altri politici si sono adeguati, perché lei era un personaggio ingombrante per la politica. Meritava di essere nominata senatrice a vita». E come giornalista? «Era la più brava, imparagonabile, noi siamo nani nei suoi confronti, lei era un gigante del giornalismo. Credo che tra 20 anni scopriremo l'intero valore della Fallaci». Ma perché comunque ha successo? «Perché la gente l'ha sempre amata, perché il popolo si riconosce in lei, mentre i politici o i giornalisti fanno dei distinguo...». Lei era un amico di Oriana? «Con lei ho fatto la guerra in Libano, la guerra del Golfo, ma soprattutto in Libano imparai da lei tante cose e scoprii il suo grande fascino e la sua determinazione». Cioè? «Quando arrivò a Beirut est, c'era appena stato un attentato e nell'albego erano saltati tutti i vetri delle finestre. Trovò la stanza impraticabile, con i vetri sul letto: era furibonda e finchè non ripulirono non si calmò. Il giorno dopo chiamò l'ambasciata perché voleva andare a Beirut ovest, dove c'erano i palestinesi che avevano emanato una "fatwa" contro di lei: ci riuscì e vi restò finchè non arrivò Sharon. I giornalisti volevano intervistarlo, ma lui rispondeva no a tutti. Mentre saliva in macchina Oriana passò tra gli uomini del Mossad e si mise davanti all'auto; Sharon aprì il finestrino, chiese chi fosse quella donna. Lei lo guardò con quegli occhi fiammeggianti e gli disse "voglio un'intervista". Lui rispose: "Lunedì mattina vieni nel mio ufficio"». Quando l'ha vista l'ultima volta? «A New York, nel 2001, sotto Natale, a casa sua dove andammo io e Lucia Annunziata per la lunga intervista che pubblicai su Panorama. Ricordo che aprendo un armadio mi fece vedere un faldone enorme di carte e documenti: erano tutti gli appunti di questo ultimo romanzo. Intanto fu un onore essere a casa sua perché lei non faceva "salotto" ma era molto selettiva con le persone. Lavorammo giorno e notte e lei che scriveva con la sua inseparabile Olivetti lettera 32, guardava noi che scrivevamo all'"odiato" computer». Come andò l'intervista? «Abbiamo raccolto la sua rabbia, il suo orgoglio, l'indignazione, la sua terribile reazione agli attentati del 2001, come lei vedeva il mondo dopo l'11 settembre. Nell'intervista praticamente anticipò la sua trilogia della «Rabbia e l'Orgoglio", "La forza della ragione" e "L'intervista a se stessa". L'attentato al cuore di New York, al simbolo dell'America, confermò quello che lei pensava da tempo e che il mondo non aveva capito: il pericolo dell'estremismo islamico, la sua forza di penetrazione, la strategia di conquista dell'Europa e del Mediterraneo. Lei chiedeva una forte reazione a quanto successo, reazione che arrivò dagli americani e dagli inglesi, in modo edulcorato dagli europei». Perché? «Perché lei e gli americani avevano capito che la strategia d'invasione islamica è fatta attraverso l'invasione di clandestini: ne arriveranno sempre di più e noi siamo incapaci di difenderci». Anche la politica? «Non c'è la cultura della difesa, c'è l'accettazione, pensiamo di integrarli invece sono loro che integrano noi con la forza e con il numero». La Fallaci aveva ragione, dunque? «Ho dato ragione a lei al 100 per cento. In Italia invece ci sono sempre dei distinguo, specie a sinistra. Io anche da direttore di Panorama ho fatto copertine e copertine su di lei, ha fatto bene il Corriere della Sera a darle tanto spazio, come bene ha fatto Il Foglio con la sua battaglia ideologica». Secondo lei amava l'Italia? «Sì certo, ma l'Italia le sembrava piccola e le dava fastidio che un grande Paese diventasse un piccolo mondo per delle minuterie di certa cultura che non l'ha mai voluta... Ne soffriva, ma sapeva quello che succedeva e quando ci sentivamo non lesinava improperi o complimenti a certi politici. Le era simpatico Berlusconi, perché capiva che era una novità che aveva dato una bella svegliata all'Italia». La sua lungimiranza negli scenari politici le derivava da una speciale sensibilità o dal mestiere? «Aveva un'esperienza professionale da inviata pazzesca, è stata amica intima di Indira, di Golda Meir, grande conoscitrice della politica americana, famosa l'intervista con Kissinger che pur contestandola, la considerò sempre una grande interlocutrice. Aveva amato il coraggio di George Bush anche nella scelta della guerra in Iraq» Mai uno scontro con la Fallaci? «Per la verità, quando dirigevo Panorama, anticipammo l'uscita di un sua opera e lei mi mise nel suo libro "nero". Poi ci siamo risentiti ed è passato tutto...» «Un cappello pieno di ciliege» è dunque l'ultimo regalo della scrittrice? «Ho ricevuto il libro la settimana scorsa dal nipote della Fallaci con un biglietto molto gentile. Anche se come molti romanzi di Oriana è lungo e intimidisce un po', è un libro da leggere piano, da gustare. Sarà un successo clamoroso, un libro che ci fa capire molte cose del nostro mondo e della nostra gente, tra storia, cronaca e fiaba».