Bronislaw Geremek era un ebreo, un patriota polacco, un ...
Ancora piccolissimo, scampò dal ghetto di Varsavia, venendo accolto e protetto, insieme alla madre, da una famiglia cristiana. È forse a partire da questa esperienza che nasce quell'atteggiamento di simpatia e dialogo verso il cristianesimo e verso la Chiesa del suo paese che poi ha contrassegnato tutta la sua esperienza umana, intellettuale e politica. Questo atteggiamento è poi cresciuto attraverso l'incontro con l'ambiente dei circoli degli intellettuali cattolici di Varsavia e di Cracovia ed attraverso l'amicizia con Karol Wojtyla, prima cardinale di Cracovia e poi Pontefice Romano. Base di quella amicizia era l'impegno comune alla lealtà verso la verità dell'uomo, come si manifesta immediatamente nell'incontro dell'uomo con l'uomo. È in questo contesto che anch'io l'ho incontrato, e gli sono diventato amico. In modo particolare, non potrò dimenticare la solidarietà dimostratami nella mia vicenda europea e il suo impegno, lui ebreo, perché non fosse proibito dalla intolleranza laicista ai cattolici di portare il loro contributo alla costruzione dell'Europa. Scientificamente, Geremek si è formato come storico in Francia alla scuola degli Annales, coniugando l'attenzione per i fenomeni sociali della lunga durata con i metodi più nuovi dello studio della mentalità e del modo soggettivo in cui vengono vissute le circostanze esistenziali e storiche. In maniera particolare si è occupato della storia dei poveri, degli affamati e delle culture marginali. Inizialmente forse lo ha spinto in questa direzione la giovanile adesione al marxismo. Successivamente, dopo la rottura del '68 per solidarietà con la Primavera di Praga, matura una diversa consapevolezza del fatto che il comunismo fosse un orrore totalitario, ma questo rende ancora più doverosa e affascinante la ricerca sulla umanità dolente di quelli che non sono più (come nella visione marxista del proletariato) i protagonisti della storia ma piuttosto le sue vittime. Negli anni '70 il comunismo è trionfante sia nell'ambito politico (ad Est) che in quello intellettuale (nell'Europa Occidentale e soprattutto in Francia e in Italia). In quel tempo Geremek unisce impegno culturale e politico: dire la verità sull'uomo e sulla storia della nazione è allora lo strumento principale per impedire che la morsa totalitaria si chiuda impadronendosi senza residui delle coscienze. Vi fu in quel momento una straordinaria collaborazione fra gli intellettuali e la Chiesa. Gli intellettuali (quelli cattolici dei Kik, club degli intellettuali cattolici, ma anche quelli laici come Geremek o come Jacek Kuron, che fondò poi il Kor, il Comitato per la Difesa dei Perseguitati) portavano conoscenza e metodo di ricerca; la Chiesa convocava il popolo per ascoltare, elaborare, impadronirsi criticamente della conoscenza. Ricordo il grande scantinato della Chiesa di Nowa Huta, dove per incontri del genere potevano ritrovarsi anche duemila persone, costruendo una straordinaria unità di intellettuali e popolo come solo nei momenti migliori della storia polacca. Questa esperienza illumina anche un lato poco noto della genesi di Solidarnosc. Tutto iniziò quando Lech Walesa saltò i cancelli dei Cantieri Navali di Danzica per prendere la guida dello sciopero spontaneo che era scoppiato per questioni legate al livello dei salari e dei prezzi. Ma tutto avrebbe potuto spegnersi come un fuoco di paglia se non si fossero presentati ai cancelli gli intellettuali, accorsi da Varsavia, primi fra tutti Tadeusz Masowiecki e Bronislaw Geremek. Loro formarono il circolo degli esperti che diedero consulenza e sostegno alla rivolta operaia. E gli operai non lottarono più solo per i salari e i prezzi, ma per la solidarietà ai compagni perseguitati, arrestati e licenziati. Lottarono per la solidarietà con i viventi e per la solidarietà con le vittime del passato, con i caduti del '77, e vollero la croce in ricordo dei caduti di quelle lotte. E poi lo sciopero chiese verità sulla storia e libertà per la coscienza, per la fede e per l'identità nazionale. L'Europa attonita vide gli operai in rivolta contro il comunismo e che dispiegavano sulle loro bandiere l'immagine della Vergine di Jasna Gora e chiedevano fra le condizioni per cessare lo sciopero la trasmissione per radio della messa. Poi venne l'inverno di Jaruzelski. Geremek, internato il 13 dicembre, liberato e poi arrestato di nuovo, fu attivissimo nel sostenere la necessità di non cedere, di non colludere con il potere ma anche la necessità di stare sul terreno della testimonianza morale e della non-violenza, senza cadere nella tentazione della violenza e del sangue. L'obiettivo era riaprire il dialogo nazionale. Quando questo avvenne, il regime crollò. Negli anni successivi Geremek ricoprì cariche importanti, fu ministro degli Esteri per tre anni, ebbe la soddisfazione di riportare la Polonia nella famiglia delle nazioni europee da cui il comunismo con la spartizione dell'Europa sancita a Yalta l'aveva violentemente separata. Toccò a lui firmare il trattato di adesione della Polonia alla Nato. Intanto la grande esperienza unitaria di Solidarnosc si dissolveva e Geremek si ritrovò nel partito degli intellettuali, la Unia Wolnosci, che non ebbe mai però un grande successo elettorale. Negli anni del governo Kaczynski, Geremek entrò anche in collisione con il governo del suo paese su una questione di misericordia e di libertà. Il governo chiedeva a tutti coloro che ricoprivano un incarico pubblico di dichiarare di non aver mai avuto a che fare con la Polizia Politica del vecchio regime. Geremek si rifiutò di rendere tale dichiarazione. Pensava che la nuova Polonia non si potesse costruire sulla vendetta per il passato e che un uomo non dovesse essere inchiodato agli errori di un tempo passato di cui alla fine solo Dio può essere giudice giusto. Molti ricorderanno il suo sorriso, la sua barba, la sua pipa, il suo amore alla Polonia, la sua fede nell'Europa.