Giovanni Spadolini il borghese risorgimentale
Sottolineava con piacere che aveva in sé tre anime, tre autentiche vocazioni che avevano caratterizzato la sua vita senza che l'una prevalesse sull'altra, anzi integrandosi mirabilmente: lo storico, il giornalista, il politico, o meglio l'uomo delle istituzioni. Un unico percorso, tre passioni egualmente assecondate, tre carriere in una, nelle quali il genio precoce di cui era dotato gli aveva consentito di bruciare le tappe. Nato nel 1925, a nove anni, su un quaderno di quarta elementare, scrive a penna il suo primo libro di storia, con tanto di capitoli, indice, pagine, illustrazioni: Avvenimenti e personaggi della storia d'Italia. A dodici anni, in seconda ginnasio, diffonde il primo periodico da lui stesso compilato e battuto a macchina: Il mio pensiero. Nel 1950 dà alle stampe Il papato socialista, libro destinato ad aprire un grande dibattito, ed esordisce nell'insegnamento universitario alla facoltà di Scienze Politiche di Firenze, alla quale sarebbe rimasto fedele per tutta la vita, ricoprendovi la prima cattedra di storia contemporanea nel nostro paese. Antesignano di nuovi percorsi per la storiografia italiana, aprì originali filoni di studi sui rapporti fra Stato e Chiesa e sui partiti politici, con particolare riferimento a movimenti di «minoranza» nell'Italia liberale, quali i cattolici e i laici (repubblicani e radicali). Un insegnamento, il suo, dallo spiccato carattere interdisciplinare: storia in senso ampio, strumento indispensabile per capire il presente e sempre contraddistinta da una forte passione civile. Basti citare il Tevere più largo, titolo di un suo libro entrato nel linguaggio comune per indicare con una formula il nuovo rapporto instauratosi fra Chiesa e Stato con l'avvento al pontificato di Giovanni XXIII: un cambiamento lucidamente intuito e segnalato da Spadolini fin dai primissimi atti di papa Roncalli. La passione per il giornalismo. Nel 1948 è "scoperto" e lanciato da Mario Missiroli nel mondo dei quotidiani. L'anno seguente viene chiamato da Mario Pannunzio a collaborare fin dal primo numero a Il Mondo, l'inimitabile periodico dove il suo talento giovanile ha modo di segnalarsi accanto a nomi del calibro di Ernesto Rossi e Panfilo Gentile, Salvemini, Sturzo, Flaiano... Nel febbraio 1955, a trent'anni non ancora compiuti, assume la direzione del Resto del Carlino e la tiene per tredici anni, fino al 1968, quando passa al Corriere della Sera. In entrambi i casi è un direttore ascoltatissimo dal mondo politico: i suoi pezzi, a sostegno (pur con molti distinguo) di una graduale evoluzione verso il centro-sinistra, hanno una forte incidenza nei palazzi romani. A Milano vive il periodo della contestazione, del cambiamento tumultuoso, della incipiente violenza ad opera degli "opposti estremismi", di destra e di sinistra, minaccia da lui denunciata per tempo proprio dalle colonne del foglio di via Solferino. Nel 1972, quando viene allontanato dal giornale per volere della proprietà, inizia la vita politica vera e propria: è subito eletto nel capoluogo lombardo nelle liste del Partito Repubblicano di Ugo La Malfa. Dopo solo due anni, senza la normale prassi del sottosegretariato, è ministro e fondatore del Ministero per i Beni Culturali, nel governo presieduto da Aldo Moro: il leader della DC vede in Spadolini la persona più adatta per varare il complesso di norme e organismi indispensabili per assicurare un'efficace difesa del nostro straordinario patrimonio culturale, all'epoca minacciato come non mai. Ministro della Pubblica Istruzione nel 1979, assume anche la segreteria del Partito Repubblicano, subito dopo la scomparsa di La Malfa. Nel 1981, nel pieno della crisi morale ed economica del Paese, è Presidente del Consiglio, primo non democristiano nella storia della Repubblica. Sono mesi decisivi, così sintetizzabili: freno e discesa dell'inflazione, liquidazione della loggia P2, colpi durissimi alle Brigate Rosse. Nelle elezioni politiche del 1983 Spadolini ottiene un successo clamoroso, raddoppiando i consensi del PRI, e porta il partito al massimo storico. Nei successivi governi presieduti da Bettino Craxi è ministro della Difesa e in questa veste si segnala per il processo di ammodernamento e integrazione delle forze armate. Dal 1987 fino a poche settimane prima della morte ricopre la carica di Presidente del Senato: un ruolo istituzionale e di garanzia che sembra fatto apposta per lui. Internazionalmente conosciuto a livello politico e culturale (18 le lauree honoris causa conferitegli dagli atenei stranieri) cerca di favorire il processo di integrazione europea, insistendo molto per l'apertura ad Est dopo i cambiamenti epocali del 1989. Proprio l'Italia e l'Europa della ragione, come amava chiamarle, restarono sempre il suo punto di riferimento, la stella polare di una vita intera venuta a mancare troppo presto.