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Tiberia De Matteis ...

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..da 40 anni" è diventato un cult, superando le 200 repliche e non potendo esaurire le richieste. Al Sistina di Roma, dove ha dovuto moltiplicare le serate lascerà ancora fuori più di un migliaio di persone e si parla di necessarie riprese future. I progetti estivi, però, incalzano con l'inaugurazione del Festival di Ravello il 10 luglio con un recital sul tema della diversità e la direzione della "Cenerentola" di Rossini per il circuito marchigiano. Per la prossima stagione ci sono poi la regia di "Poveri, ma belli" al Sistina e un disco nuovo con canzoni napoletane classiche rivisitate dalla banda Pagani-Ranieri. Come ha scoperto il suo talento canoro? «Da bambino mi esibivo insieme agli scugnizzi napoletani: loro si tuffavano in mare per conquistare le monetine lanciate dai turisti, mentre io avevo paura dell'acqua e allora preferivo cantare su uno scoglio. Ho capito che quest'esigenza poteva diventare un mestiere. Sono passato a cantare nelle feste, ai matrimoni e poi via via fino alle serate». Quali sono stati gli incontri determinanti per la sua carriera? «Tutti mi hanno dato molto e sono stato davvero fortunato. Ho rubato da Bolognini e da Patroni Griffi, come anche da De Sica che mi diresse al Sistina in uno spettacolo da cui nacque "O surdato 'nnammurato", il mio primo disco live. Sono passato poi da Visconti a Zavattini, da Zeffirelli a Steno, senza comunque dimenticare Scaparro, Garinei e prima ancora Strehler con De Lullo e Valli. Il mondo è cambiato, non esistono più questi geni: erano personaggi straordinari». Ha nostalgia del tempo che fu o il pubblico di oggi è ancora capace di gratificarla? «Gli spettatori vanno educati con l'opportunità di proporre nuovi autori e giovani generazioni. Spesso in passato dominavano alcune mode culturali: Pirandello, Goldoni, Viviani rispondevano di volta in volta alla condizione del Paese. Bisogna continuare a credere che la gente vada indotta a pensare e a informarsi perché di fatto il pubblico c'è». Che rapporto ha con la televisione? «Una forma di odio e amore. È uno strano animale che a volte non capisco: come una biscia sfugge da tutte le parti e non sai perché. Il problema è che non puoi vedere le facce delle persone e le loro reazioni. In teatro verifichi attimo per attimo come stai lavorando e se sono contenti di guardarti». Di recente si è misurato con il mondo della lirica. Cosa le piace di questa dimensione tipica della nostra tradizione? «Sono cinque anni che mi dedico alle regie operistiche perché considero meraviglioso tutto quello che riguarda la musica. La lirica è un universo inesploso: i cantanti sono molto acerbi, attorialmente parlando, in quanto ritengono che il pubblico non sia interessato alle loro posture. Il mio compito è invece abituarli a un'interpretazione che dia senso a quello che si canta. Ho il desiderio di teatralizzare al massimo una musica sublime. Ho abbandonato il mondo della canzone proprio per non stare fermo davanti all'asta del microfono. Mi piace andare oltre la parola e il mio stile consiste nell'impegnare sempre tutto il corpo». Qual è il primo appuntamento estivo? «L'apertura del Festival di Ravello con uno spettacolo nascente, scritto con Gualtiero Peirce, per affrontare il rapporto di Napoli con la diversità: si va dal guappo al nero passando per l'immancabile femminiello».

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