Salvo D'Acquisto, il bello del sacrificio nella vita prima che nella morte
Firma la biografia autorizzata dalla famiglia e racconta la vita di Salvo D'Acquisto, il carabiniere che da venticinque anni è in predicato per diventare beato. L'incontro della scrittrice con un uomo cresciuto in fretta e morto a 23 anni avviene per caso e non è un colpo di fulmine. «Avevo appena finito di presentare la mia biografia su Santa Lucia Filippini - racconta l'autrice - Mi avvicinò un maresciallo dei carabinieri proponendomi di scrivere la vita di Salvo D'Acquisto. Mi chiesi che cosa ci fosse da aggiungere a quel che già si sapeva. Un po' mi lasciava perplessa l'idea dell'eroe santo: santo lui, santi tutti i civili e i militari che hanno dato la vita per la patria o per un ideale. Replicai con una risposta di circostanza. In cuor mio avevo detto no». È invece il libro è uscito. «Poco tempo dopo, mi contattò il fratello di Salvo (ormai lo chiamo così) Alessandro. Voleva conoscermi. Mi incuriosii. Ci incontrammo a Napoli al Monastero di Santa Chiara dove sono custodite alcune reliquie del vicebrigadiere comandante della stazione di Torrimpietra fra cui il cranio con i due fori dei colpi di grazia inferti dai tedeschi dopo quello al petto. Fu come vederlo cadere morto. Provai affetto improvviso, decisi di scrivere». Due anni di lavoro e un filo conduttore ne «Il martire in divisa» pubblicato dalla San Paolo. È come se l'autrice volesse cambiare il finale a una storia il cui epilogo si consumò in un giorno di terrore e colpì l'intera piccolissima comunità che intorno a Salvo D'Acquisto aveva trovato un po' di pace nonostante la guerra. La leggenda e qualche libro di storia raccontano ancora che Salvo D'Aquisto morì in seguito a un attentato organizzato il 22 settembre del '43 contro i tedeschi nella caserma di Palidoro abbandonata dai militari italiani. Vero che nella caserma non c'era nessuno, vero che i soldati tedeschi l'occuparono. Altrettanto vero è che nessuno aveva preparato bombe: saltò in aria una cassa con esplosivo sequestrato ai pescatori di frodo forzata maldestramente. Insomma Salvo D'Acquisto si è addossato una colpa che non era stata commessa da alcuno. «Il gesto di Salvo D'Acquisto, che offrì la sua vita per salvare ventidue abitanti di Torrimpietra condannati dai tedeschi per ritorsione, fu la massima espressione del senso di responsabilità che lo aveva caratterizzato sin da piccolo. Come carabiniere aveva il dovere di garantire l'ordine e la sicurezza per tutti, anche per i tedeschi. Sin dal primo interrogatorio spiegò inutilmente che non c'era stato alcun attentato e quindi nessun responsabile da cercare. La rabbia e la concitazione di quei momenti rese vana ogni spiegazione. Per questo il giovane decise di offrire la sua vita. La vita di chi sentiva, per aver scelto di fare il carabiniere, la responsabilità della tutela». Non commise mai azioni estranee alle sue convinzioni. Come quando a 17 anni salvò un bambino strappandolo per un soffio a un treno che arrivava. Aveva calcolato di poter morire, ma non riuscì a non fare ciò che sentiva. Aveva ricevuto un'educazione di amorevolezza. La Fede in Dio gli faceva trovare parole di consolazione quando la divisa non bastava a dare la sicurezza che i tempi centellinavano. Avrebbe voluto entrare in seminario, dovette preferire arruolarsi per aiutare economicamente la famiglia. Il rosario regalatogli dalla nonna tenuto sempre in tasca lo strinse fra le mani quando fu ucciso. Aveva orrore per la guerra e per le armi. Disse un'unica bugia, dichiararsi volontario quando la Patria gli impose di partire per l'Africa. Accettò come gli imponeva il suo rigore. Lo stesso che gli permise, con un'occhiata sola, di far capire a una ragazza di correre ad avvisare il comandante della postazione della Finanza affinché non tornasse a Palidoro com'era previsto. Un'altra vittima in meno. La morte chiuse il cerchio della vita di D'Acquisto. E non poteva che andare così. Un uomo, verrebbe da dire, come ce ne sono pochi. Forse per questo diventerà santo.