«Racconto la Napoli travagliata nel ricordo amaro della Ortese»
Mentre al cinema appare ne "Il Divo" di Sorrentino, dove interpreta la moglie di Andreotti. Come si è avvicinata a questa nuova esperienza teatrale? «Si parla di Napoli attraverso la visione lucida e tormentata che Anna Maria Ortese aveva già nei primi anni '50, contaminando qualche suo passaggio con Perec e associando la necessità dell'emigrazione, dovuta alla fame e alla miseria, all'allontanamento volontario della scrittrice che non si sente più amata dalla sua città d'origine. Ovviamente, non interpreto la Ortese in maniera realistica, ma la raffiguro in nel rapporto fra la condizione napoletana della sua epoca e quella di oggi. Il mio compito è far arrivare al cuore prima ancora che alla ragione del pubblico le sue lungimiranti parole. La suggestione è poi accresciuta dall'ambientazione scenica all'interno di una darsena, un quadrilatero di origine borbonica, ora di proprietà militare». Che rapporto ha con Napoli? «Era la città di mio padre, mentre io sono nata in Friuli. Fin dall'infanzia ho coltivato con Napoli un legame misterioso: per me era un mondo quasi magico da scoprire con gli occhi di una bambina. Ora comunque non la considero la mia città e sento di non avere nessun luogo in cui riconoscermi. Sono completamente apolide, forse perché viaggio sempre per lavoro». Preferisce il teatro o il grande schermo? «Sono un'attrice e non faccio differenza di genere. Però, che il mio cuore batte per il teatro: lì mi sento pienamente me stessa. Sul palcoscenico prendono corpo un lavoro, un'implicazione e una responsabilità che nel cinema vengono condivise con altri in un'attività collettiva. Nel film di Sorrentino, che ha avuto tanto successo a Cannes erano coinvolti tutti attori di teatro. Un film può diventare un capolavoro con interpreti non professionisti, ma è un'eccezione e diversa dall'approssimazione che minaccia il nostro cinema». Quali personaggi le sono più congeniali? «Mi innamoro di tutti quelli che incarno, da Donna Rosa dell'eduardiano "Sabato, domenica e lunedì" a Elisabetta di "Maria Stuarda" di Schiller. Nella prossima stagione mi dedicherò alla commedia di Yasmina Reza "Il Dio della carneficina" che riflette sul presente e smitizza l'immagine della famiglia, smascherandone la sua violenza repressa».