Lo studio della lingua italiana per rafforzare l'identità nazionale
Ci hanno provato in tanti: Alleanza nazionale nelle persone di Pietro Mitolo, Angela Napoli e dell'intero gruppo parlamentare, il verde Marco Boato, il democratico Roberto Zaccaria. Convinti, meglio tardi che mai, che soprattutto ai giorni nostri conviene rafforzare una identità nazionale che si va smarrendo sempre più. Eccetto l'estrema sinistra, nessuno ha detto di no. Ma dopo il disco verde della Camera, il Senato non ha mai fatto altrettanto. E anche se avesse dato il suo benestare, sarebbero stati necessari altri due sì da parte dei due rami del Parlamento. Già, perché si dà il caso che i padri fondatori della nostra Carta repubblicana si scordarono o non avvertirono la necessità di codificare una disposizione del genere. E la cosa è quanto mai strana, per non dire sospetta. Perché i sullodati padri fondatori hanno fatto menzione della lingua, eccome. Una prima volta come sostantivo e una seconda come aggettivo. Così l'articolo 3 stabilisce che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Mentre l'articolo 6 recita: «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche». Insomma, si enfatizza l'eccezione e si mette la sordina alla regola: cioè alla lingua italiana. L'ipotesi della dimenticanza, del vuoto di memoria, non regge. Difatti l'articolo 62 dello Statuto albertino era ancora lì sotto gli occhi di tutti. «La lingua italiana è la lingua ufficiale delle Camere. È però facoltativo di servirsi della francese ai membri che appartengono ai paesi in cui questa è in uso, od in risposta ai medesimi». Disposizioni tanto più significative in quanto è arcinoto che nel 1848 e dintorni la classe politica piemontese aveva più dimestichezza con la lingua d'Oltralpe che con l'italiano. E poi non sono pochi i Paesi europei che prevedono nelle loro costituzioni norme simili a quelle di là da venire. Basti citare l'Austria, la Francia, l'Irlanda, il Portogallo, la Spagna. Ma anche il Belgio e la Finlandia. Perché mai allora la nostra Costituzione al riguardo fa scena muta? La verità è che le spiegazioni fornite da un decennio in qua nel corso dei lavori preparatori dell'auspicata disposizione sulla lingua italiana non sono granché soddisfacenti. È davvero ovvio che la lingua ufficiale della Repubblica è l'italiano? E ancora: è implicito? Mica tanto. La verità è che nell'immediato dopoguerra, dopo la morte della Patria a seguito dell'8 settembre 1943, il sentimento nazionale era caduto così in basso che alle minoranze tutto era dovuto, come legittima reazione al fascismo, mentre alla maggioranza degli italiani non rimanevano neppure gli occhi per piangere. Né varrebbe sottolineare che, dopo tutto, una disposizione del genere fa già bella mostra di sé all'articolo 1 della legge 15 dicembre 1999, n. 482, contenente norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche. Perché si tratta di una legge ordinaria e non già costituzionale. E non occorre scomodare Piero Calamandrei, per sapere che le norme giuridiche, soprattutto se di rango costituzionale, hanno sempre una loro efficacia pedagogica. E una sana pedagogia è quanto mai necessaria oggi che si biascicano forestierismo a tutta birra. Abbiamo così il Famiy day, il Tax day, l'Allergy day, la Summer School, il Change, il Workshop, il Fiscal drag, i veltroniani I care, we can e il Loft (che abbia perso le elezioni per via di questo enigmatico Loft?), il Drink, il Party, l'Happy Hour, l'Education. Dato che la mamma dei bischeri è sempre gravida, abbiamo anche supporto anziché sostegno, attimino invece di attimo, assolutamente sì o no con tanto di ingombrante quanto inutile avverbio, e via delirando. Il rischio è la torre di Babele. Come temeva Indro Montanelli, siamo sì entrati in Europa, ma come apolidi. Dimentichi del passato, incuranti del futuro e immersi fino al collo in un presente in bianco e nero. Senza qualità. Perciò rappresentano un balsamo le sensate parole del ministro Mariastella Gelmini, una tosta: «La patente delle tre I, Inglese, Internet, Impresa non può essere presa a discapito della quarta I, Italiano». Tanto di cappello. Stavamo per dire, accidenti ai forestierismi, chapeau.