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Addio Risi, sapeva unire gioia, comicità e tragedia

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Difatti. Al suo esordio, nel '52, con "Vacanze col gangster", si era nel clima che già cominciava a dilagare proprio della cosiddetta commedia all'italiana e quel film vi si poteva ricondurre, ma i ricordi più seri del Neorealismo cui ancora molti pensavano pur cominciando a trascurarlo, mi sembrò subito che si potessero riconoscere in quel breve episodio su delle servette e dei militari in sala da ballo che spiccava con toni decisi, l'anno dopo, in "Amore in città", non a caso da un'idea di Zavattini. Pur accogliendo, di lì a poco, proprio gli schemi e gli accenti della commedia italiana nella fortunata trilogia composta da "Pane, amore e..." (seguito , con Sophia Loren, dei due successi dal titolo quasi eguale costruiti da Luigi Comencini attorno a Gina Lollobrigida), dal "Segno di Venere" e, soprattutto, da "Poveri ma belli", il suo primo, felicissimo successo popolare in cui, però, nella festosità dell'insieme, si cominciavano a intuire note, se non proprio scettiche, certo piuttosto amare. Quasi a voler segnare, nel genere, una svolta decisa. Ancora qualche anno (e qualche film tra cui "Venezia, la luna e tu", con un duetto piacevole, in veneziano, tra Manfredi e Sordi) ed ecco la svolta farsi più netta ed imporsi: "Il vedovo", con un duetto, adesso, tra Alberto Sordi e Franca Valeri in cifre così nere (e drammatiche) che non fu difficile vedervi perfino dei riferimenti sicuri al caso recente dell'omicidio Fenaroli. Cifre meno nere ma in cui, ancora una volta, prevaleva il cinismo, fra truffe e inganni non di rado anche cupi, nel "Mattatore", in quei Sessanta che già annunciavano il nostro boom economico ma in cui un poliedrico Gassman, al suo primo incontro con Risi, cominciava a tracciare un ritratto del tutto negativo degli espedienti cui molti ormai si dedicavano per praticare l'arte tutta nazionale di arrangiarsi. Un'arte, ribaltata nelle premesse e negli approdi, in quella che va di certo considerata fra le opere maggiori di Risi, "Una vita difficile", con un Sordi persino più nero che non nel "Vedovo", ma solo perché era il nero a dilagargli attorno, spegnendoli, fra società e politica, quasi il ricordo di ogni luce. Non più guardandosi attorno, ma studiando, in un carattere, le conseguenze di quel periodo sempre più contraddittorio e turbato, ecco Risi regalarci, nella pienezza di tutti i sui mezzi espressivi (e narrativi), quell'altro grandissimo film che fu "Il sorpasso" in cui Gassman gli tornava al fianco con la stessa tracotanza del "Mattatore", riuscendo, però, grazie ad una regia attenta, a equilibrare contraddizioni e contrasti, e mettendo d'accordo il comico e il tragico e finendo per dare, al secondo, spazi e priorità maggiori. L'anno dopo (1964), fingendo Risi di tornare al comico con "I mostri", andò persino più a fondo nel dramma e, addirittura, nell'orrore. Era un seguito di caricature dei gusti e del modo d'essere di quegli anni, ma finivano in realtà per risultare delle maschere tragiche. Da cui ritrarsi con angoscia anche per il disegno terribile con cui, pur tentando di far sorridere, ce le proponevano sia Gassman sia Tognazzi, "mostri" davvero. Nei Settanta, ecco Risi affrontare anche il tema del terrorismo, sia con "Mordi e fuggi", certamente una commedia, ma amarissima, sia con "caro papà", il primo con Mastroianni il secondo ancora con Gassman. Un attore che Risi, in quello stesso decennio, ci avrebbe nuovamente fatto incontrare in un altro dei suoi capolavori, "Profumo di donna", da "Il buio e il miele" di Giovanni Arpino, anche questa volta in magnifico equilibrio fra il patetico e l'umor nero, con una tale sensibilità drammatica e una tale finezza psicologica invano ripresi, di recente, quando, dato il successo anche internazionale del film, ci fu qualcuno a Hollywood che ritenne possibile tentarne, in chiave americana, un rifacimento. Spesso implausibile. Con gli Ottanta siamo alla revisione di un passato di cui cercano nuove chiavi (e nuove svolte) nel presente. Con la satira antimilitarista, ad esempio, di "Scemo di guerra", ispirato, con l'interpretazione di Beppe Grillo, a quello stesso diario di Mario Tobino, "Il deserto della Libia", cui si è rivolto di recente anche Mario Monicelli ne "Le rose del deserto". Senza dimenticare "Il Commissario Lo Gatto", con Lino Banfi, con allusioni politiche, e, arrivati ai Novanta, quel ritorno a Gassman con "Tolgo il disturbo" in cui, ancora una volta, Risi riuscì ad esprimere il volto (e i difetti) della società che gli stava attorno, considerata in uno dei suoi aspetti più negativi anche se poco appariscenti, il rispetto scarsissimo per la vecchiaia. Quel Gassman "nonno", ben accetto solo dalla sua nipotina, restano il segno, ed il sigillo di una carriera cui il cinema ha dovuto tanto. E, appunto, nonostante le citazioni della commedia all'italiana, anche con molte voci e molti echi. All'insegna della grandezza.

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