«Il problema in Cina è l'economia
Perché il mio romanzo abbia superato il vaglio della censura è uno dei tanti misteri cinesi». Il suo romanzo è frutto d'invenzione? «Non proprio. Taluni personaggi li ho inventati, come quel poveraccio sottoposto a tortura perché accusato d'essere un controrivoluzionario, che si uccide ficcandosi un chiodo in testa. In Cina la realtà supera l'immaginazione. Un lettore mi ha scritto chiedendomi se per caso non mi ero ispirato alla vicenda di suo padre che non aveva trovato un altro mezzo per porre fine a dei mesi di tortura. Ho letto perfino in un giornale dell'epoca che un alto dirigente vicino a Mao aveva suggerito di radere al suolo i palazzi imperiali e di trasformare quel terreno, in spregio alla vecchia Cina, in una latrina a cielo aperto». Ma al tempo delle Guardie Rosse lei era solo un ragazzino. «In effetti ero molto giovane, ma posso dire egualmente di essere cresciuto all'ombra della rivoluzione culturale. Si gironzolava per strada, seguendo fatti e misfatti delle Guardie Rosse. Nessuno era al riparo dalla violenza». Nel suo romanzo lei afferma che l'amore era più forte dell'orrore. Però ci sono stati non pochi casi di mogli che per salvarsi accusavano i mariti, e viceversa. «È vero, ma questo succedeva soprattutto nelle famiglie dei pezzi grossi del partito. Ma fra la gente comune non era così. Ricordo il caso di mio padre, medico, e piccolo responsabile del partito nell'ospedale dove esercitava. Un giorno per strada vidi dei tazebao che lo accusavano dei peggiori delitti. Poi venne spedito in un villaggio dove i contadini, anche a motivo della sua professione, lo protessero. Un giorno gli chiesi chi gli era stato d'aiuto. E lui : "I contadini e tua madre che non mi abbandonò mai"». Parliamo della Cina del presente. «Si è passati da un estremo all'altro. La Cina della rivoluzione culturale era del tutto priva di umanità. Oggi vi è una umanità scatenata, priva di ogni regola, di valori e di etica. La violenza ha solo cambiato faccia, non si manifesta più attraverso delle esplosioni di forza bruta, ma attraverso il denaro e il potere, sotto forme più varie. Se per caso qualcuno su internet prende di mira un piccolo segretario di partito locale, magari accusandolo di corruzione, questi gli spedisce una banda di delinquenti che lo brutalizzano e in seguito lo fa condannare da un giudice al suo soldo. Non agita più nell'aria il coltello delle Guardie Rosse, ma la logica è la stessa». Cosa pensa il cinese medio del problema Tibet? «Per l'uomo della strada il Tibet appartiene alla Cina, la questione è vista come un attentato all'unità nazionale. C'è una esplosione di sentimenti nazionalisti. Il problema principale non è il Tibet, né i Giochi Olimpici, o molte altre cose sulle quali l'Occidente focalizza la propria attenzione, ma l'economia. Almeno 50 milioni di cinesi vivono con 50 euro l'anno e altri 200 milioni con 70 euro. La Cina è un paese di miliardari, pochi, e di morti di fame, molti, di dirigenti corrotti che tolgono le terre ai contadini, di poveracci che domandano giustizia ai tribunali e non l'ottengono. le loro condizioni col tempo miglioreranno, o si solleveranno. Prego Iddio che ciò non avvenga, perché le conseguenze sarebbero incalcolabili, e non solo per la Cina».