Italietta in panne sulla via nucleare

Vero o falso, sta di fatto che Saragat, dopo due anni al Quirinale, firma il decreto di grazia (controfirmato dal Guardasigilli, Oronzo Reale) e per Ippolito si spalancano le porte del carcere di Rebibbia. In cella trascorse esattamente due anni e tre mesi. Correva l'anno 1966. Egli fu condannato per illeciti penali commessi in qualità di responsabile di un ente pubblico. Fu un processo memorabile. Divise il mondo politico, spaccò il Paese e ferì a morte il sogno nucleare italiano. Sogno che coincise, in larga parte, con l'avventura scientifica e politica di questo geniale e caparbio ingegnere napoletano, che fu alla guida negli anni '50 del Cnrn (Comitato nazionale ricerche nucleari) e dal '60 al '63 al timone del Cnen (Comitato nazionale energia nucleare). Infatti, grazie a lui, il nostro fu uno dei primi Paesi europei a intraprendere nel Dopoguerra un programma di sviluppo dell'energia nucleare a scopo commerciale. Purtroppo, fummo anche i primi - in perfetta solitudine - ad abbandonarlo. Quel piano energetico naufragò già nella metà degli anni Sessanta né fu ripreso in considerazione in seguito alla crisi petrolifera dei Settanta, nonostante i gravi contraccolpi che essa ebbe sull'economia italiana. Insomma, mandato in soffitta il caso Ippolito, l'Italia non trovò più la forza per realizzare una politica energetica che fosse in sintonia con le aspirazioni di una grande potenza industriale. La storia del nucleare rappresenta un'ulteriore anomalia dello sviluppo economico italiano della seconda metà del Novecento: un vero e proprio caso di "modernizzazione senza innovazione e di sviluppo senza ricerca". Sicuramente, la nostra diversità ha radici che ci portano molto più indietro rispetto al tempo in cui si decise alla fine degli anni '80 - dopo un referendum e sull'onda emotiva suscitata dall'incidente alla centrale sovietica di Chernobyl - di liquidare ogni progetto nucleare.», confida nel '97 Felice Ippolito - pochi giorni prima di morire - a una giovane ricercatrice alle prese con la stesura di una storia del nucleare italiano (Barbara Curli, "Il progetto nucleare italiano", ed. Rubbettino, 2000, pagg. 273). «Avere una politica rigorosa su questo terreno - continua - significa fornire propellente alle strategie industriali e tecnologiche del proprio Paese. Mentre consente allo Stato di essere credibile e di farsi valere negli organismi internazionali. Ho cercato di fare capire tutto questo ai leader politici italiani fin dai primi anni '50, scontrandomi, purtroppo, con una caratteristica tipica della nostra classe dirigente: la completa ignoranza in campo tecnico-scientifico». In tal senso, un paio di aneddoti valgono più di un trattato. Si era da poco costituito il Comitato nazionale ricerche nucleari (1950), quando Pietro Campilli - fra i fondatori della Democrazia Cristiana e più volte ministro - si recò dal presidente del Consiglio De Gasperi per convincerlo della bontà dell'iniziativa. De Gasperi gli rispose con una frase rimasta celebre: «Se proprio vuoi farla questa cosa nucleare, falla!». Nel '54, l'allora Ministro dell'Industria - il liberale Bruno Villabruna - risponde stupito - a un Ippolito andato nel suo studio a perorare la causa del nucleare - con queste parole: «Ma come, non ce le abbiamo già le centrali?». Intanto, a oltre cinquant'anni da questi due dialoghi che sembrano usciti dalla penna di Eugéne Ionesco, il Ministro Claudio Scajola, promette un cambio di passo. Resta sul tappeto l'incognita delle micro-corporazioni territoriali. Non ci vuole molta fantasia, per immaginare quel che potrà accadere quando verrà ufficializzata la mappa dei siti per lo smaltimento delle scorie radioattive. Tutti pronti a consumare, assai spesso più degli altri Paesi, ma veloci anche ad occupare strade e ferrovie ogniqualvolta occorra fare qualche sacrificio. La speranza è che la sindrome del "bimbo viziato" e del "signorino soddisfatto" - vero cancro dell'arretratezza italiana - possa essere sconfitta. Questa volta, ad essere a rischio è la credibilità dell'azione di Governo, ma soprattutto l'autorità dello Stato.