Addio a Sydney Pollack, l'artista che cambiò l'America
Cosìscherzava il premio Oscar Sydney Pollack, morto lunedì sera a Los Angeles nella sua casa di Pacific Palisades, a 73 anni (ne avrebbe compiuti 74 il primo luglio), a causa di un tumore allo stomaco. Se ne è andato lasciando un segno indelebile nel cinema internazionale, del quale rappresentava il trade union tra il tradizionale divismo americano e la cinematografia innovativa delle ultime generazioni. Pollack ha definito un'epoca in cui sia alcuni registi (oltre a lui, Barry Levinson e Mike Nichols) sia star come Robert Redford, Barbra Streisand e Warren Beatty, avevano cambiato i meccanismi di Hollywood raggiungendo successi di cassetta senza abdicare alle ambizioni artistiche. Ha diretto 21 pellicole e 10 show televisivi, recitando in oltre trenta tra film e producendo più di 44 pellicole. Stanley Kubrick ricorse a lui come attore nella lunga avventura di "Eyes Wide Shut" dopo l'abbandono di Harvey Keitel. «Recito per un solo motivo, per spiare quei registi che non ti fanno mai entrare sul set e marcano il territorio come gli animali. Così, quando Woody Allen o Stanley Kubrick mi proponevano un ruolo, ci andavo di corsa, ma ho recitato anche in un'opera prima ("Michael Clayton") con George Clooney», aveva raccontato solo un anno fa a Roma presentando il suo documentario sull'architetto "Frank Gehry, creatore di Sogni". Oltre al premio alla Carriera (prese il Pardo d'onore a Locarno nel 2002), grazie alla sua opera cult "La mia Africa" (1986) vinse 7 Oscar (miglior film, migliore regia, sceneggiatura, fotografia, colonna sonora, sonoro e scenografia). In molti ricordano anche la sua regia in "Tootsie", con Dustin Hoffman, film al secondo posto nella categoria delle commedie subito dopo l'immortale "A qualcuno piace caldo". Mentre "Come eravamo" (1973) con Barbra Streisand e Robert Redford, e "La mia Africa", con Meryl Streep e Redford, figurano tra i primi 100 nella classifica dei film d'amore più amati dagli americani. Si deve proprio a Pollack l'aver trasformato Robert Redford in un vero attore-feticcio: insieme hanno fatto 7 film a cominciare da "Questa ragazza è di tutti" (1966) al leggendario "Corvo Rosso non avrai il mio scalpo" (1972), passando per il sentimentale "Come eravamo" (1973), per la spy story "I tre giorni del Condor" (1975) e per finire con "Il cavaliere elettrico" (1979), il kolossal "La mia Africa" (1985) e "Havana" (1990). A Redford, Pollack ha affidato i ruoli più belli, affiancandolo poi nella creazione del Sundance Institute. Il cinema che hanno realizzato è stato segnato da una grande amicizia: democratici convinti, inseriti nel sistema produttivo ma capaci di plasmarlo secondo la propria idea di cinema, Pollack e Redford hanno occupato la scena degli anni '70, per rivisitare e rinnovare insieme, e tramite il cinema, la cultura americana. Verso la fine della sua carriera, Pollack era diventato produttore di film indipendenti: con il partner Anthony Minghella (scomparso nel marzo scorso), aveva creato la casa di produzione Mirage Enterprises, da cui era nato "Cold Mountain" (2003) e nel 2007 il documentario "Sketches of Frank Gehry", ultimo film diretto da Pollack dopo "L'interprete" con Nicole Kidman, girato dentro le Nazioni Unite nel 2005. «Il momento più bello di questo mestiere è quando si arriva al montaggio. Sei finalmente solo, non devi passare tutto il tuo tempo a organizzare gli altri, ti senti come uno scultore che cava dal marmo la sua forma e dai un senso a quello che avevi scritto», raccontava con la sua proverbiale ironia. Newyorkese nell'animo ed europeo nella cultura, Sydney Pollack, figlio di un immigrato ebreo-russo, ha sofferto gravi drammi familiari: la madre morì giovanissima, distrutta dall'alcool, quando Sydney aveva appena 16 anni. Arrivato a New York nel 1952, studiò regia e recitazione ma il suo primo mentore, fin dal debutto a Hollywood, fu Burt Lancaster che lo volle a curare il doppiaggio americano de "Il Gattopardo". La sua recente carriera è ricca di divertisment, come il remake di "Sabrina" (1995) e la collaborazione con Harrison Ford, culminata in "Destini incrociati" (1999).