A 35 chilometri a sud-ovest di Shanghai c'è She Shan. ...
E in cima, a dominare il paesaggio, si erge una grande chiesa in mattoni rossi, in uno stile vagamente gotico. È "Nostra Signora della Cina o di Sheshan". La prima basilica mariana dell'Estremo Oriente. A metà dell'Ottocento, i missionari europei avevano costruito una cappella. Più tardi, un vescovo, rifugiatosi da queste parti, aveva fatto voto di costruirci una chiesa. E quel voto diventò realtà. Cominciata nel 1925, la costruzione del tempio terminò dieci anni dopo. Per arrivarci più facilmente, venne allestita una funivia. Ma la gente, fin dall'inizio, preferì andarci a piedi, su per la salita, segnata dalle sculture di una Via Crucis e da due filari di bambù. Ben presto la basilica divenne il santuario nazionale della Cina. Sopravvisse a guerre, a rivoluzioni politiche e culturali, alla furia iconoclastica del maoismo e perfino alla divisione dei cattolici, tra l'Associazione patriottica, ligia al Partito comunista, e la Chiesa clandestina, fedele al Papa, con un martirologio di vescovi, di sacerdoti e di laici che si allungava ogni anno di più. "Nostra Signora di Sheshan" restava lì, a ricordare che il Vangelo era entrato anche in Cina. E che, malgrado gli errori del passato (da parte della Santa Sede) e le persecuzioni degli ultimi sessant'anni (da parte dei vari regimi comunisti), c'è sempre la ferma speranza che un giorno possa realizzarsi l'incontro definitivo tra quel grande popolo e la religione cristiana: una religione capace di coniugare l'attenzione a Dio e l'attenzione ai problemi degli uomini. Ebbene, di solito, gli altri anni, già ai primi di maggio cominciavano a registrarsi i primi arrivi a She Shan: erano le avanguardie del grande pellegrinaggio che sarebbe giunto per il 24, quando ricorre la memoria liturgica della Vergine. Invece, quest'anno, gli arrivi finora sono calati del cinquanta per cento. E non per il disastroso terremoto - come qualcuno avrebbe potuto pensare - ma per le ferree disposizioni governative, intese a bloccare o quanto meno a frenare il più possibile l'afflusso di fedeli a She Shan. Per prima cosa, è stato impartito l'ordine a tutte le comunità cattoliche di celebrare la festività del 24 maggio a "casa" loro: il che significa divieto di organizzare pellegrinaggi. Chi ci andrà (singolarmente o in piccoli gruppi) dovrà dare il proprio nome in anticipo, quindi sottoporsi a una serie di procedure, di controlli, rischiando di subire in futuro delle ritorsioni. Poi, lungo la strada che porta al santuario, sono state piazzate delle telecamere: per sventare "attacchi terroristici", è stato detto; ma, in realtà, per tenere sotto sorveglianza tutto e tutti. E questo perché? Per paura dei contraccolpi che potrebbe avere nell'opinione pubblica internazionale - in questa già tormentata vigilia delle Olimpiadi - l'iniziativa di Benedetto XVI di indire per il 24 maggio una Giornata mondiale di preghiera per la Chiesa in Cina. Una iniziativa annunciata dal Papa a metà dello scorso anno, nella Lettera ai cattolici cinesi, ma che i dirigenti comunisti sembrano avere scoperto molto in ritardo. E volendo adesso correre ai ripari, e usare le maniere forti, hanno però commesso un grosso errore di prospettiva. Pechino infatti ha giudicato pericolosa la decisione pontificia solo perché potrebbe diffondere all'estero l'idea che in Cina non si stia bene e ci sia bisogno di migliorare ancora molte cose. Mentre non ha considerato affatto le conseguenze "spirituali" dell'evento di domani: e cioè il significato di una preghiera che, scavalcando per la prima volta barriere ideologiche e confini geografici, unirà il popolo cinese, o comunque il popolo cattolico della Cina, a tutto il mondo libero. E così, proprio per l'opposizione del regime, una festività puramente religiosa potrebbe trasformarsi in un test clamoroso - prima e più ancora di quanto succederà durante i Giochi Olimpici - del perdurante stato di violazione dei diritti umani e civili in Cina. A cominciare da quel diritto alla libertà religiosa che Pechino, nelle sue aperture e nei suoi commerci con l'Occidente, sembrava sempre ignorare. E sul quale l'Occidente, almeno finora, preferiva spesso sorvolare.