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Tortora, l'odissea di un divo qualunque

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Èil 17 giugno del 1983, notte dell'arresto a Roma di Enzo Tortora, un'icona dello schermo che esce dal tubo catodico ed entra nella case, buca il teleschermo e comunica i primi input della tv moderna in Italia: un attracco a un Portobello che diventerà l'approdo più insicuro della sua vita. Bombardato da una piratesca azione del pentitismo nascente, Tortora, da stimato giornalista e abile conduttore, si ritrova camorrista e spacciatore. Con la magistratura a sostenere il peso di quella gigantesca menzogna. Alla fine, il giornalista dimostrerà la propria assoluta innocenza, ma la vicenda lo mina nel fisico, continua a combattere da deputato europeo (eletto nel giugno '84 nelle liste radicali) per la verità e per le ingiustize patite dagli altri. Resiste meno di cinque anni: il 18 maggio del 1988, vent'anni fa, muore. L'istantanea del suo arresto, manette ai polsi, è volutamente un atto scenografico: si vuole colpire un uomo ritenuto dalla doppia vita, «un insospettabile finalmente assicurato alla giustizia». «Cosa mi stanno facendo», continuava a ripetere singhiozzando nell'assordante silenzio di una stanzetta del reparto operativo dei carabinieri, a via in Selci. Prima di uscire in manette si accorge di aver trascorso l'intera notte con un testimone, il sottoscritto, che ha già dettato «a braccio» il pezzo al giornale. «Non avrai mica scritto che ho pianto», mi dice in un sussulto di orgoglio. Gli rispondo di aver fatto il cronista. Lui capisce e fa per stringermi le mani: non può riuscirci. «Ora non farmi passare più per un pusillanime, saprò vincere anche questa battaglia», fa in tempo ad aggiungere prima che una gragnuola di flash lo investa in pieno giorno: ma quella luce artificiale non basterà a chiarire subito la vicenda. Sbattuto in carcere a Torino, Enzo Tortora diventa così l'emblema di «una giustizia ingiusta». Ora Vittorio Pezzuto con il libro «Enzo Tortora, l'uomo che visse due volte» (Sperling&Kupfer) cerca di cavare le verità più scomode da quella ragnatela «colpevolista». Un'Italia immemore continua a non voler ricordare Tortora, la sua assoluzione piena dai fatti contestati, e quel suo elegante «Dunque, dove eravamo rimasti?» col quale, il 20 febbraio del 1987, riprese su Raidue il nuovo ciclo di «Portobello».

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