Moore, io unica sopravvissuta all'apocalisse
È il primo atto di un processo lento e inesorabile che vedrà in poco tempo centinaia di cittadini colpiti da questa malattia e rinchiusi dalle forze governative in una sorta di carcere-lager. In questo luogo si ritrovano anche il dottore (Mark Ruffalo) con la moglie (Julianne Moore), l'unica vedente che non ha voluto abbandonare il marito e che anzi si ritrova ad assisterlo come una coraggiosa crocerossina e fa lo stesso con gli altri ammalati in un luogo pieno di feci e brutture. L'inferno esorcizzato dalle autorità governative si ricrea, e con più forza, all'interno di questa comunità di ciechi: un gruppo di loro prende il potere e schiavizza gli altri, stupra le loro donne con crudissime scene di violenza e raziona il loro cibo. Jiulianne Moore riuscirà a portare fuori i suoi protetti quando la città sembra ormai preda dei non vedenti, violenti, affamati e disperati. Per Moore, che nel film appare bionda, il ruolo non è stato certo facile: «Sono una donna che si prende la responsabilità del marito e poi la allarga a tutti gli esseri umani. Dovevo recitare una parte che si colloca nella sottile linea che c'è tra responsabilità, irresponsabilità ed eroismo, ma con una recitazione piatta e priva di elementi tragici. Oggi ci sono molte tragedie nel mondo per questo si devono raccontare storie come questa». Il regista che ha diretto nel film anche Gael Garcia Bernal, Danny Glover e Alice Braga, ha poi sottolineato che non si tratta «di un film politico, non è contro nessun paese e tanto meno contro il governo americano. Ma l'idea di civilizzazione che implode mostra quanto siamo primitivi e animaleschi».