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Anna Fiorino [email protected] È il lavoro ...

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Poi si scambiano i ruoli mentre d'Annunzio s'illude di vincere e Guerri sorride sapendo che cadute e risalite non bastano a descrivere la grandezza di una modernità senza tempo. Il Vate colpisce chi si fa trascinare da leggende sbrigative. Il tuo d'Annunzio appare scrittore inarrivabile e uomo di fallimentari discese. Tenti di stargli lontano. Te ne fai conquistare. Più che conquistare, forse "sorprendere", o addirittura "incantare": l'incanto che può nascere da un uomo che seppe fare della propria vita inimitabile il proprio capolavoro. E che, partendo dallo sperduto Abruzzo della seconda metà Ottocento, riuscì a realizzare il desiderio di diventare "come un signore del Rinascimento", creatore di bellezza, espugnatore di città e di donne straordinarie. Naturalmente questo non mi impedisce di valutarlo per le conseguenze che ebbero le sue azioni, pubbliche e private. L'arte, l'esaltazione della bellezza, il distacco dalla miseria fino a farsene travolgere ripugnandola. È questo il tempo giusto per leggere d'Annunzio? Sì, d'Annunzio era - prima di tutto - un esaltatore della "libertà fino all'ebbrezza". Un'aspirazione oggi condivisa da molti, che però spesso non sanno decifrarne senso e direzione confondendola con la libertà di fare "quello che fanno tutti". D'Annunzio combatté, con grande anticipo, un guasto linguistico-concettuale dei nostri tempi, in cui abbondano le indistinte "persone" e scarseggiano gli "individui". Anche i suoi seguaci a Fiume, Guido Keller e Giovanni Comisso, intrapresero "una potente lotta contro le persone, una lotta che sarà vinta dagli individui". Questa lotta è ancora lontana dall'essere vittoriosa, ma la necessità di essere "individui" e non "persone" è sempre più sentita. Quanto vale la ricerca delle parole rispetto alla povertà dell'espressione che oggi ci tramortisce? Nel 1910 d'Annunzio si vantò, a ragione: "Quanti parlano e scrivono con ottocento sole parole! Io finora ne ho usate almeno quindicimila". La povertà linguistica oggi è migliorata di poco e una lettura di d'Annunzio è ancora un viaggio avventuroso alla scoperta di parole rare e bellissime. Che cosa non hai scritto in questo libro "d'Annunzio, l'amante guerriero"? Mi pento di non avere citato i versi di "Canta la gioia" che tanto lo differenziano da una tradizione poetica italiana cupa e dolente e che non gli è stata perdonata: Canta l'immensa gioia di vivere / d'essere forte / d'essere giovine / di mordere i frutti terrestri / con saldi e bianchi denti voraci… Tutto è possibile per chi coltivi ambizioni senza sottrarsi alle conseguenze. Bisogna avere le capacità che reggano ambizioni smodate come le sue. Che riassumerei in una frase sola: "d'Annunzio fu un uomo che seppe imporre i propri sogni agli altri uomini". Ambiguo, convinto di poter vivere come voleva perché lo voleva. Privo di scrupoli, bugiardo, scopiazzatore. Qual è il merito di d'Annunzio? Una sua frase riassume il suo pensiero e la sua vita: "Non chi più soffre, ma chi più gode conosce". Con un simile assioma d'Annunzio capovolge l'etica secolare del sacrificio imposta agli italiani e deride la morale dell'esercito di piccoli e grandi Iacopone da Todi che hanno insegnato a portare il cilicio e a disprezzare il mondo. E per lui "godere" non significa soltanto il semplice piacere della carne ma anche, se non soprattutto, il piacere della bellezza, della sfida, della vittoria, dell'affermazione di sé. In ciò, non cattivo maestro, ma bravo maestro. D'Annunzio spiazza le categorie, non fa differenza fra uomini e donne, s'emoziona, s'annoia, sputa sulla politica. Con largo anticipo cancella destra e sinistra. A chi mi chiede con chi starebbe oggi d'Annunzio, rispondo che avrebbe fondato un partito suo, chiamandolo "Il partito della bellezza": un'idea che peraltro gli è già stata copiata. La sua vita una pagina di storia... mancante. Non è l'unica del Novecento. Il mio prossimo libro sarà appunto su una pagina bistrattata, più che mancante. Ma posso mantenere il segreto? Se proprio vuoi...

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