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I suoi detrattori, gli statalisti di sempre, i teorici di ...

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Se Benedetto Croce teorizzava il liberalismo (soprattutto italiano ) come una vicenda anzitutto morale, Einaudi avverte la reciproca implicazione fra liberalismo e liberismo, per lui che si riferisce ai classici del pensiero inglese quali Stuart Mill e Locke, le libertà civili sono inscindibili dalle libertà economiche. Un rapporto di interdipendenza. L'individuo si perfeziona solo se è libero di realizzarsi come meglio ritiene. La meritocrazia è strettamente connessa ad una economia di mercato. L'autorealizzazione può portare allo scontro fra individui concorrenti. Questo genere di lotta è tuttavia una lotta di progresso. Gli uomini sono in tal modo costretti ad assumersi le proprie responsabilità, lo sviluppo o i fallimenti delle loro imprese senza gravare su altri individui. Comportarsi diversamente significa accettare tutto con fatalismo, anche l'illegalità e i cattivi servizi. In questo quadro era favorevole al federalismo e al decentramento; ma un federalismo europeo, cioè a dire una sola politica economica, e un forte esercito europeo in grado di tenere a bada le pressioni provenienti da Oriente. Un piemontese puro sangue Einaudi, nato nel 1874 a Carrù, non distante da Cuneo (la morte a Roma nel 1961), due lauree in economia e giurisprudenza, e molto presto la cattedra di Scienza delle Finanze, dapprima all'Università di Torino e più avanti alla Bocconi di Milano. Tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti, dopo l'8 settembre del 1943 si rifugia in Svizzera. Rientra in Italia alla liberazione per una carriera tutta in salita. Governatore della Banca d'Italia, deputato alla Costituente, senatore, vicepresidente del Consiglio con De Gasperi, e ministro delle Finanze e del Tesoro, e quindi del Bilancio, vara una politica economica caratterizzata da una diminuzione della tassazione interna e dei dazi doganali, così ponendo le basi del boom degli anni Cinquanta e Sessanta. Nel maggio del 1948 il Parlamento è chiamato ad eleggere l'uomo che dovrà succedere a De Nicola, il capo provvisorio dello Stato. È la prima volta che si vota per un presidente della repubblica. Il candidato di De Gasperi è il ministro degli Esteri, Carlo Sforza, che trova sul proprio cammino l'opposizione dei dossettiani, e per principio delle sinistre. Finisce che in odio a De Gasperi, che li ha clamorosamente sconfitti in aprile, i comunisti si dichiarano disposti a sostenere Einaudi, che non ha mai fatto mistero delle sue simpatie monarchiche, piuttosto di un repubblicano di lunga navigazione quale Sforza. Che Einaudi fosse favorevole alla monarchia può sembrare una contraddizione. Può aver giocato la sua origine piemontese, una regione disposta a perdonare ai Savoia non poche cose. Al Quirinale dà prova di sobrietà, di imparzialità, e di rispetto del ruolo che la Costituzione gli assegna. Pure non essendo un personaggio per natura estroverso, riesce egualmente a conquistarsi le simpatie popolari, con quella sua espressione severa, ma non arrogante. Occorre aggiungere: coadiuvato al meglio dalla moglie, Ida Pellegrini. Se ne và allo scadere dei fatidici sette anni, lasciando il posto a Giovanni Gronchi, di tutt'altro stile e impatto, e ritirandosi nella sua amata tenuta agricola di Dogliani, dove scrive il volume di ricordi: "Lo scrittoio del Presidente", che si somma ai suoi trattati di economia e di scienza sociale. La mostra al Quirinale, sessant'anni dopo la sue elezione, racconta la storia di un uomo che ha ben meritato dal paese. Un omaggio più che dovuto.

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