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Multinazionali, i giganti d'oro che comandano il mondo intero

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Le cose non stanno proprio in un modo così semplice. Anzi, sono molto più complesse. Ma i personaggi e i problemi che davvero le rendono tali, e che gestiscono il nostro mondo, di solito non salgono al proscenio, non si mostrano alla ribalta. In questi giorni, per esempio, si è tornati a parlare del megamagnate Soros: ma chi sa davvero chi sia, in quanto sarebbero capaci di riconoscerlo in foto? L'uomo più potente d'Italia è senza dubbio alcuno Carlo de Benedetti: quante volte lo si è visto in tv o se n'è parlato sui giornali? La questione petrolifera è come tutti più o meno sappiamo alla base dell'attuale situazione sia afghana sia irakena: quante puntate di "Porta a Porta" sono state dedicate a illustrarla all'opinione pubblica e a spiegare se e fino a che punto ci sia implicata anche il nostro ENI? In realtà i capitali finanziari, le risorse energetiche e i flussi della produzione, quindi anche gli spostamenti di molta gente, sono controllati da una serie di lobbies che contribuiscono largamente a decidere del nostro benessere e del nostro malessere. Si parla sempre en passant o sottovoce delle multinazionali, come se fossero un argomento tabù. Saperne di più, in realtà, aumenterebbe di molto la nostra consapevolezza di cittadini. In Italia il termine "multinazionale" viene talvolta utilizzato per indicare una grande impresa, cioè quella che in inglese è definita corporation: una società di capitali, quindi dotata di personalità giuridica, che la legge considera come separata e distinta dai soci che in effetti la possiedono, i quali rispondono per le obbligazioni assunte dalla società soltanto nei limiti delle azioni o quote sottoscritte. Poiché le passività e i debiti di una società di capitali non sono considerati come appartenenti alle persone che li creano, in caso di insolvenza della società i creditori non possono rivalersi sul patrimonio personale dei singoli soci: tale condizione è detta "di responsabilità limitata". Quando si parta di multinazionali, allora, si dovrebbe parlare piuttosto di transational o (più raro) multinational corporations, cioè di "associazioni transazionali o multinazionali": espressione che indica una società di capitali o un'impresa che operano in almeno due distinte nazioni. La definizione comunemente accettata è quella proposta dalla United Nations Conference on Trade and Development (UNCTAD), cioè dalla Conferenza delle Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo, un organo dell'ONU fondato nel 1964 allo scopo di incrementare le opportunità commerciali, d'investimento e di crescita dei paesi in via di sviluppo e di assisterli nel processo d'integrazione nell'economia mondiale su basi di equità. Il progetto nasceva dalla preoccupazione, espressa dai paesi in via di sviluppo, per un'economia sempre più rapidamente globalizzata. Per questo alla presidenza si sono alternate figure espresse da nazioni extra-occidentali: in questo momento l'UNCTAD, con sede a Ginevra in Svizzera, conta 191 paesi membri, produce un rapporto annuale sullo stato delle cose e organizza una Conferenza ogni quattro anni: l'ultima ha avuto luogo nell'aprile del 2008 in Ghana. Secondo la definizione dell'UNCTAD accettata dalle Nazioni Unite una corporation transnazionale, per esser tale, deve avere il controllo di almeno una filiale all'estero, giustificato dal possesso di un minimo del 10% del suo capitale. Secondo il trend registrato dall'ultimo rilevamento dell'UNCTAD, aggiornato al 2005, le società multinazionali sono in tutto 77.175 nel mondo, con 773.019 filiali. Rispetto al periodo 2000-2005 esse hanno registrato una crescita quasi dimezzata. Tale dato si spiega con l'affermarsi di una tendenza alle fusioni societarie, sintomo di un accentramento del potere economico nelle mani di gruppi sempre più ristretti. Difatti, per quanto il numero assoluto sembri molto alto, bisogna considerare che una multinazionale non equivale, di per sé, a un colosso dell'economia mondiale. Nel novero complessivo sono incluse, proprio a causa del criterio classificatorio scelto dall'UNCTAD, anche molte cosiddette micro-multinazionali: piccole e medie imprese che fino a tempi recenti avevano vocazione fortemente locale, ma che la competizione globale ha spinto a investire sempre più in paesi stranieri; senza contare che l'economia legata all'avvento di internet ha fatto sì che numerose piccole società, soprattutto dedicate al settore terziario (gli studi professionali - di medici, avvocati, architetti e così via - ricadono in questa categoria), siano naturalmente portate a un business senza forti confini nazionali. La differenza tra le micro-multinazionali e le grandi multinazionali è immensa; ma sono soltanto le prime ad esser cresciute in numero, a fronte della contrazione delle seconde: un fenomeno importante, che tuttavia statistiche come quelle dell'UNCTAD, per quanto utili, faticano a mettere in luce come sarebbe opportuno. Tra le compagnie incluse nel novero delle dieci più importanti figurano la britannica HSBC Holdings (settore bancario), l'olandese Royal Dutch Shell (risorse energetiche), la svizzera UBS (prodotti finanziari diversificati) e ancora un'olandese, la ING Group (assicurazioni). Il criterio classificatorio cambia se si è interessati solo ad alcuni parametri: per esempio il colosso statunitense della distribuzione Wal-Mart, diciassettesimo nella classifica generale, è al primo posto nelle vendite, con un introito lordo di 348,65 miliardi, ma con un profitto netto di 11,29 miliardi. Se si guarda al solo valore sul mercato, la ExxonMobile è al primo posto, valutata 410.65 miliardi di dollari; e Microsoft, "solo" sessantaseiesima nella statistica complessiva, diviene terza per valore sul mercato in quanto valutata 275.85 miliardi di dollari. Per avere un'idea del peso economico assoluto delle corporations, si deve considerare che il valore sul mercato di questi colossi supera il PIL di numerose nazioni: non ci riferiamo solo alle aree del terzo mondo: bensì a paesi come la Danimarca, che con i suoi 200 miliardi circa di PIL si vedrebbe superare da oltre una decina di multinazionali. Guardiamo ora con maggiore attenzione alla distribuzione nazionale delle corporations: sulle principali 500, in testa con 162 multinazionali troviamo gli Stati Uniti; al secondo posto il Giappone con 67; al terzo la Francia con 38; appena sotto la Germania con 37; segue la Gran Bretagna con 33; la Cina con 24; il Canada con 16; tra 10 e 15 si piazzano, in ordine decrescente, Svizzera, Olanda, Italia e Corea del Sud. È quindi evidente che il cosiddetto blocco occidentale, costituito da Stati Uniti, Giappone ed Europa, ha una preminenza assoluta sul mercato (arrotondando, quasi 400 su 500: vale a dire i 4/5). Come già detto a proposito del rapporto economico fra Cina e Stati Uniti, il peso assoluto di un paese nell'economia non è direttamente proporzionale al numero e alla forza delle sue multinazionali: negli ultimi anni il prodotto interno lordo della Cina ha colmato una parte considerevole della distanza rispetto agli USA, passando dai 3.422 trilioni di dollari ai 7.043 del 2007, contro i 13.794 statunitensi (un trilione corrisponde a mille miliardi). Eppure il peso dell'azione delle multinazionali rimane a distanze elevate: ancora un segno di come il discorso su di esse vada considerato in modo almeno in parte indipendente da quello sulle nazioni. Un'ultima considerazione da fare in base alle cifre brute della statistica, riguarda i settori in cui le multinazionali sono impegnate: quello bancario-finanziario la fa ampiamente da padrone, fornendoci il chiaro quadro di un'economia dominata non dalla produzione, ma dalla gestione del denaro. Seguono il settore delle risorse energetiche e, a debita distanza, quelli alimentare e farmaceutico (legati dall'interesse comune per le biotecnologie), delle tecnologie (dell'informatica, della comunicazione, degli armamenti), della distribuzione. La produzione industriale, con l'eccezione dei colossi dell'automobile, è poco rappresentata. Oggi, capire che cosa fanno le lobbies è molto più importante che capire che cosa facciano i governi. Ma forse esistono temi dei quali si preferisce che la gente non discuta e non sia informata?

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