Il ritorno di Montaldo:
La trama narra la vita dello scrittore Fjodor Mikhajlovic Dostojevskij, interpretato da Miki Manojlovic, attore feticcio di Kusturica e recentemente di "Irina Palm", film premiato ai David. La storia, girata tra Torino e San Pietroburgo, dove si ambienta nel 1860, prende il via dall'incontro fra Dostojevskij, cinquantenne epilettico e perennemente vessato dai creditori, con un suo ammiratore, Gusiev (Timi), rinchiuso in manicomio. Il giovane, ex membro di un gruppo terroristico, gli chiede di dissuadere il capo dei suoi ex compagni, la misteriosa Alexandra (Anita Caprioli). Dostojevskij, che per le sue idee era stato condannato a morte, ma poi salvato e mandato a scontare dieci anni di reclusione in Siberia, si trova così in una doppia corsa contro il tempo: quella per trovare Alexandra, ricercata anche dal brillante ispettore Pavlovic (Herlitzka) e, l'altra, per finire il suo ultimo libro, "Il giocatore". Nell'aiutarlo a rispettare la scadenza è fondamentale l'aiuto di Anna (Carolina Crescentini), giovane stenografa che resta ammaliata dallo scrittore. "I demoni di San Pietroburgo" rappresenta per Montaldo la realizzazione di un progetto inizialmente ideato dal regista russo Andrei Konchalovsky, a cui aveva iniziato a lavorare all'inizio degli anni '80. «Dopo "Tempo di uccidere", mi sono messo un po' da parte e ho scoperto il teatro lirico. Ma mia moglie - ha scherzato il regista - non ne poteva più di sentirmi gridare nel sonno di notte, "Azione!" o "Stop!" e mi ha consigliato di darmi una mossa per ricominciare. Spero che il film spinga ad approfondire la conoscenza dello scrittore e a leggerne i suoi libri. Quello che mi ha affascinato è stato il demone di un genio, ossessionato dal timore di essere stato un cattivo maestro per le nuove generazioni. Nel contatto con la sofferenza vera e con l'umanità disperata, Dostojevskij fece il bilancio del suo impegno rivoluzionario e capì che ormai era interessato solo a cercare l'essenza umana». Carolina Crescentini, dopo tanti film giovanilisti, parla della sua interpretazione in un ruolo drammatico come di una «rivincita: vengo dal centro sperimentale di cinematografia dove ho faticato tantissimo studiando e finalmente si cominciano a scoprire i giovani attori che recitano e non vogliono solo apparire. La bellezza poi non è una colpa se non ne sei schiava e per me non è stata una limitazione». Della stessa opinione è Anita Caprioli: «Mi dispiace che si continui a parlare della bellezza degli attori e non della bravura, cosa che non accade per le altre professioni come, ad esempio, quella del regista o del medico».