Rolling Stones - Shine a light
Fa bene Keith Richards a lasciare il suo corpo alla scienza, dopo l’inevitabile trapasso. Perché davvero è un mistero come, con il traguardo dei settant’anni ormai in fondo al rettilineo, il chitarrista e gli altri Rolling appaiano più vivi in due ore di concerto di quanto non sia parso Prodi in due anni di governo. D’accordo, dietro il palco avranno pure i defribillatori, le bombole ad ossigeno, le macchinette lavasangue. Ma nei camerini c’è pure il Jack Daniels e Diosolosacos’altro. Quanto alle ceneri dell’amato babbo, il luciferino Keith se l’è sniffate (pare, dice, sembra) e più di una volta non si può. Meravigliosi, immarcescibili Stones: per capire il portento del rock senile basta ascoltare i dischi "live" degli anni Sessanta, ad esempio "Get Yer Ya-Ya’s Out". Lì dentro ci sono due dei classici che compaiono anche qui in "Shine a light" ("Sympathy for the devil" e "Jumpin’Jack Flash), e quello che cambia è solo il suono d’ambiente di quel tempo, gli urletti isterici di un pubblico di ragazzine adoranti di fronte al Dioniso Mick e a quegli altri giovani scavezzacolli. Ma oggi che sono nel pieno della terza età, con le facce intagliate dalle rughe e le zampette un po’ malferme, suonano meglio che mai, come ben sa chi ha avuto la fortuna di assistere agli show della tournée 2006-7. Durante la quale il leggendario gruppo ha trovato modo di rispettare il patto contratto con l’amico-fan regista Martin Scorsese, che dopo aver filmato la storia e la carriera di Bob Dylan e, prima ancora, l’addio alle scene della Band ("The last waltz") ha voluto documentare l’impressionante volume di fuoco, dal vivo, di Jagger e soci. Con una scelta tecnica (13 telecamere accese, nessun taglio o pausa durante l’esibizione, e l’obiettivo di mostrare sullo schermo ogni una stilla del sudore dei musicisti) che porta direttamente lo spettatore al fianco dei miti in azione, sulla scena vaudevilliana del Beacon Theatre, New York, nella sera del 29 ottobre 2006. Il repertorio è quello già sviscerato milioni di volte (da "Paint it black" a "Brown sugar", da "Start me up" a "Satisfaction" e così via) per un viaggio al contrario nell’iperspazio: verso i confini di quel rock d’antan che aveva un senso vertiginoso nella coscienza dei giovani di quasi mezzo secolo fa e un impatto sociale pari a quello di un meteorite caduto nella cittadella del perbenismo. Ma stavolta (gli Stones hanno pubblicato dieci o undici dischi dal vivo ufficiali, a seconda delle catalogazioni critiche) c’è qualcosa di più: tre ospiti invitati con astuzia strategica ed intuito performativo. Magnifica e sexy Christina Aguilera nel duetto con Jagger per "Live with me"; all’altezza del compito Jack White III dei White Stripes nella lustra ballad "Loving cup", datata 1972; imperiale la lezione blues di Buddy Guy su "Champagne & Reefer", uscita dalla penna sontuosa di Muddy Waters. Quanto al resto, malgrado Mick abbia fatalmente perso in potenza vocale, non resta che chiudere gli occhi e ascoltare. Come ambasciatore dei seduttori r’n’r, non rischia la pensione. Purché non si porti via tutte le pollastrelle. Voto: 8,5 /10