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di Antigone Il famoso puparo siciliano Mimmo Cuticchio, ci ...

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Il Teatro dei Pupi era semplice, povero, si pagava ancora in natura. Ma quando è arrivata la televisione sono cambiati i gusti del popolo, la gente veniva sempre meno a vedere i pupi. Così, nel sessantanove, quando ormai mio padre lavorava solamente per i turisti, inizia la mia storia di figlio d'arte che si rifiuta di fare sempre lo stesso spettacolo». Lei ha contribuito ad innovare la tradizione dei pupi. «Nel settantatré ho aperto a Palermo un piccolo Teatro di Pupi, secondo le regole della tradizione, ma ho subito capito che tutto stava cambiando. Si dovevano inventare nuovi trucchi e storie, rifarsi un pubblico. Avevo aperto le ali e volevo volare fuori dal ghetto, dal cosiddetto teatro minore». Il suo lavoro si basa sull'eredità culturale. Quanto è importante trasmettere il sapere di padre in figlio? «Ho un figlio di venticinque anni, che vive con me e con i pupi. Lui si è diplomato al liceo e al conservatorio. La scuola che io ho avuto da mio padre, invece, era quella delle grida, della disciplina ferrea, dei rimproveri continui». I temi delle sue rappresentazioni spaziano dall'Ariosto all'attualità. «La mia revisione della tradizione dipende da quello che succede intorno, dalla vita di tutti i giorni, da guerre o atti di sangue nella mia terra. Questo mi ha portato a mettere in piedi spettacoli tratti da grandi autori oppure d'impegno sociale, politico, umano, come le storie di Dalla Chiesa o Borsellino, del quale ho descritto l'infanzia e non la morte, perché volevo mostrare l'omicidio di un padre di bambini come tanti, e di uno che è stato bambino come tutti». Lei ha portato i pupi in giro per il mondo. Cosa possono offrire a chi non li conosce bene? «Gli uomini di qualsiasi nazionalità si possono incontrare o scontrare, ed è sempre stato così. Attualmente ci sono più di centocinquanta Paesi nel mondo in guerra. Attraverso l'arte, la cultura e la poesia però, persone distanti si possono incontrare e vivere un sentimento comune». Come vede il futuro dei pupi? «Darò una delusione a chi aspetta che io continui a raccontare le storie di Orlando e di Angelica, ma purtroppo non esistono più gli spettatori che vengono tutte le sere. Sono cosciente di fare un teatro che è destinato a finire, perché sono cambiati i tempi e gli uomini. Nei pupi c'e il mio passato che non voglio dimenticare, ma dal quale non voglio essere intrappolato. Non è giusto perdere la memoria, ma neanche vivere di nostalgia».

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