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NON PENSARCI, di Gianni Zanasi, con Valerio Mastandrea, ...

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Si comincia a Roma, dove Stefano, chitarrista rock, va incontro a due forti delusioni, sentimentali e professionali. Così, con un itinerario opposto a quello del Moraldo felliniano, se ne torna a Rimini, sua città natale, cercando comprensione e rifugio in seno alla famiglia. Anche lì, però, finisce per dover affrontare parecchi problemi, psicologici e pratici. Il padre ha ceduto la sua impresa (ciliege sotto spirito) al figlio Alberto e passa le sue giornate giocando a golf. La madre, forse perché angustiata da una colpa di gioventù, frequenta sciamani e vari culti new age. La sorella ha abbandonato gli studi per dedicarsi a dei delfini in un parco acquatico. Alberto però separato dalla moglie e con figli piccoli, ha gestito così male l'azienda paterna che, senza neanche essersene accorto, è sull'orlo del fallimento... I casi si intrecciano, Stefano, a un certo punto, cerca di dominarli preoccupandosi soprattutto dell'azienda la cui rovina sarebbe la rovina di tutti i suoi, ma altri problemi lo coinvolgono (e coinvolgono anche gli altri) mettendoci presto di fronte, appunto, ad una vita di provincia in cui ciascuno, in primo o in secondo piano, si affaccia a dirci la sua. Nel più colorito dei modi. C'è l'intrigo, perfino con una rivelazione finale, ci sono i sentimenti fatti felicemente scaturire dalle varie situazioni e poi, con il rilievo più vivace, ci sono queste situazioni in cui il dramma, o comunque i pensieri tristi e affannati, si accompagnano al sorriso di una commedia lieve che dipana, con scioltezza, tutti i suoi elementi. Senza mai cadute di tono, senza lacune narrative e psicologiche, assecondando i ritmi di un'azione che sanno sempre essere rapidi e stringati; anche quando, e allora in cifre quasi sommesse, allusive, sospese, sostano per mettere accenti su questo o quel risvolto. Qua facendo sorridere, là lievemente commovendo. Il merito è di Zanasi e del suo sceneggiatore di sempre, Michele Pellegrini, ma va dato anche ad una recitazione in tutti decisamente esemplare. La più vivida e intensa è quella di Valerio Mastandrea come Stefano: una mimica mobilissima in grado di esprimere con esattezza le delusioni, la noia, l'ironia, perfino il disgusto. Sempre in meditassimo equilibrio. Al suo fianco, Giuseppe Battiston (il fratello) non è da meno. Applausi anche a lui.

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