BEIRUT - La giornata è calda, sulla strada non vi è molto ...
Sembra di stare in Sardegna, ma no, decisamente non siamo in Sardegna. Quando attraversiamo il piccolo villaggio, tante ragazze sorridono al passaggio della nostra auto. Ci salutano con la mano, ma hanno il capo coperto dal velo. Stiamo attraversando un villaggio sciita e siamo nel Libano. Libano del Sud. Qui nell'estate del 2006, tra questi colline si è combattuta una guerra durissima tra i miliziani del "Partito di Dio" e lo Tzahal, l'Esercito israeliano. Ora gli israeliani si sono ritirati, i duri combattenti filo-iraniani sembrano, come per magia, scomparsi. Ma vi è una forza che garantisce la sicurezza alla popolazione di questa regione martoriata. È l'UNIFIL-2 a comando italiano, con il Generale Claudio Graziano. Il contingente italiano, dall'ottobre dell'anno passato, è rappresentato dagli uomini e dalle donne della 132esima Brigata Corazzata "Ariete". L'attività della "Ariete" è frenetica. Gli oltre duemila militari italiani quotidianamente monitorizzano un'area difficilissima. Oltre il 70 per cento della popolazione è sciita, sostanzialmente divisa tra gli Hezbollah di Hassan Nasrallah e il partito "Amal" di Nabih Berri. Vicino alla base italiana di Tibnin, si trova il villaggio di Bint Jubayl, la roccaforte di Hezbollah. Nel 2006 oltre 5000 uomini dell'addestratissimo Esercito israeliano non sono riusciti a strapparla ai 700 miliziani del "Partito di Dio", dotati di armi modernissime - fornite soprattutto dalla Siria - nascosti fra trincee e cunicoli che ricordano la lotta dei Vietcong contro l'esercito americano. Anche se le forze si sono ritirate, e nel caso dei guerriglieri si sono semplicemente nascosti, la guerra ha lasciato una pesante eredità per la comunità libanese. Centinaia di bomblets, le micidiali cluster bombs, disseminano il terreno. In un'area dove è l'agricoltura il motore economico non poter lavorare tra i campi si può tradurre in una parola sola: carestia. Per questa ragione i team di EOD, gli sminatori, quotidianamente e con cura certosina perlustrano e bonificano il terreno. Ma l'azione dei militari italiani non è solo umanitaria. Il loro lavoro non si traduce esclusivamente nei programmi di demining, o nelle attività di cooperazione civile e militare che con "svizzera puntualità" consegnano alle municipalità locali scuole ristrutturate e altre essenziali infrastrutture. Impegni che vengono svolti di concerto con la nostra Ambasciata e l'ufficio della Cooperazione. I corazzati della "Ariete" sono dei militari e non dei poliziotti. Non si può avere un Libano sicuro se la gente non crede nelle istituzioni centrali, prima di tutto le LAF, Lebanese Armed Forces, le Forze Armate di Beirut. In una nazione multiconfessionale come il Libano, se l'esercito non rappresenta l'intera comunità, è il Paese stesso a subirne le conseguenze. Per questo gli uomini della "Ariete" hanno intensificato un programma di cooperazione con i reparti libanesi allo scopo migliorare la loro preparazione, ma soprattutto - e questo spesso è uno dei grandi paradossi delle missioni di pace - rendere l'esercito locale più vicino ai suoi cittadini. Qui si è lontani dagli echi delle polemiche romane. Missione sì, missione no. Quello che conta in Libano è lavorare in un'atmosfera delicata come il cristallo, dove tante comunità che conoscono solo l'odio tra di loro potrebbero individuare un nemico comune proprio in chi fa dell'equidistanza la sua ragion d'essere. Dopo tanti anni di fallimenti è in Libano che le Nazioni Unite stanno riprendendo prestigio e forza e credo che non sia un caso che questo sia in gran parte ascrivibile alla guida e alle attività dei soldati italiani. Poche centinaia di metri dietro la "Blue line", ci sono i carri "Merkava". Sul mare, in lontananza, si scorge una corvetta israeliana. Capita di sentire i "bang" supersonici dei Top gun di Tel Aviv. Il potente vicino non si vede, ma indiscutibilmente c'è. È per questo che, quando gli equipaggi italiani salgono sulle blindo "Puma", o sulle "Centauro", il loro compito è più molto importante di quello che si può pensare da una lontana terrazza romana. I nostri ci sono e si vedono. E sono qui perché nessuno possa più minacciare gli inermi cittadini israeliani; e perché i contadini del Libano del Sud possano tornare a lavorare nei propri campi senza il rischio di morire. Oggi abbiamo assistito a una sola esplosione, quella dei sorrisi di cinque bambini che salutavano "Paolo! Paolo!", il loro Paolo. Lui è Paolo Ruggiero, il Comandante della "Ariete". * Presidente Ce.S.I. Centro Studi Internazionali