di GENNARO MALGIERI

La cultura dovrebbe essere ritenuta espressione del patrimonio identitario italiano e in quanto tale la politica dovrebbe porsi il problema di "organizzarla" oltre che preservarla e valorizzarla. Per di più dovrebbe ingegnarsi nello sviluppo del sapere quale fonte di rivitalizzazione del sapere poiché, com'è noto, la conoscenza è il fondamento della prosperità delle società complesse come la nostra. Quando Tony Blair stava per vincere le elezioni per la prima volta, un autorevole giornale europeo gli chiese quale sarebbe stato il primo punto del suo programma. Rispose, senza neanche pensarci un po' su: la cultura. E ribadì il concetto più volte di seguito. A testimonianza della consapevolezza che soltanto dai saperi può scaturire il rinnovamento civile richiesto dai repentini e sconvolgenti mutamenti sociali. La ricerca scientifica vivacchia in uno stato penoso; quella umanistica, un tempo all'avanguardia in Italia, non brilla. Le istituzioni formative sono quasi al collasso, tranne qualche oasi di eccellenza. Un provincialismo deprimente avvilisce scuola, università, accademie. Tutti si sentono abbandonati dallo Stato. Ed è perciò tanto più deprecabile constatare che in questa campagna elettorale non si faccia neppure un cenno alla situazione in cui versa la cultura nei vari aspetti che la riguardano. La speranza è che il governo che verrà voglia mettere tra le sue priorità il magmatico e multiforme universo culturale da sostenere non soltanto come risorsa ereditata, ma anche e soprattutto quale fonte di ricostruzione di un'idea di Paese intorno alla quale poterci riconoscere al di là delle appartenenze.