Alain Elkann ai politici:
Nel quale è bastato lanciare l'idea di mettere la cultura al centro del buon governo per essere sommersi dall'entusiasmo». Un'utopia immaginare un Paese che riconosce le sue risorse e finalmente le valorizza per il buon nome dell'Italia e per il bene dell'economia. «Mi ferisce che le uniche immagini in giro per il mondo siano della spazzatura di Napoli e che le nostre mozzarelle siano bloccate alle frontiere. Mi pesa se in campagna elettorale non si parla di cultura». Eppure è così. Tranne rari accenni alla scuola... «Domanda e offerta di cultura esistono massicce. Bisogna mettere fine agli interventi settoriali, facendo finalmente sistema». Parole. Ma in pratica che cosa si fa? «Si fa quel che è già successo. Tre giorni fa eravamo 101 e volevamo fermarci a quel numero per sfruttare il titolo evocativo e la sua "carica". Oggi siamo quasi centoventi. Mi hanno chiamato Alda Merini, Lucio Dalla e tanti altri. Pippo Baudo ha già dato la sua ricetta per una tv migliore (pubblica e commerciale) che offra cultura spalmando il sapere attraverso un abile intrattenimento. Aurelio De Laurentiis e Folco Quilici sono fra i nostri sostenitori. Presto saranno molti di più». Che cos'è la cultura? «Dai restauratori alla tecnologia, dall'architettura al turismo, tutto gira intorno alla cultura. La Torre di Pisa non è di destra né di sinistra. È italiana, ma appartiene al mondo. L'errore, finora, è stato quello di non aver guardato alle risorse come a un sistema in grado di restituire aria, prestigio e mezzi a un paese nel quale ogni cinque-dieci chilometri c'è qualcosa per cui vale la pena di fermarsi». Il viaggio in Italia riparte da Elkann. Si sta candidando a fare il ministro? «No. La nostra proposta per la cultura è stata consegnata a Veltroni e a Berlusconi e a tutti i candidati premier». I fondi destinati alla cultura sono pochi, saranno sempre meno. «Intanto ci sono i fondi europei, che sono tanti e vanno finalmente gestiti. Poi ci sono i cittadini. La defiscalizzazione per il danaro investito nella cultura è un tema che affronteremo con il prossimo governo». Ci hanno già provato. «I politici non riescono a pensare a lungo termine. La crisi che attraversiamo impone oggi una inversione di tendenza: quel che si taglia oggi, porta risorse domani. Perché il turista che va a visitare il Colosseo compra da mangiare, prenota un posto letto e spende i soldi che ha destinato al suo viaggio». Crede davvero che un governo possa impegnarsi in un'operazione vasta e coordinata? «Ormai non si torna indietro. Le adesioni sono la forza del nostro manifesto. Vuole che chieda a un ministro d'essere ricevuto e che lui dica no? Le nostre sono proposte concrete. Scritte da persone che sanno quel che dicono e quel che vogliono per esperienza e studi diretti. Nulla di settoriale. Finalmente. Gli italiani amano la cultura e la cultura non è elitaria, anzi. È egualitaria. Unisce l'Italia. Se anche i politici non volessero, vedrà, finiranno per ascoltarci». Vada per l'ascolto. Ma sarà difficile cambiare il sistema com'è. Dallo spoils system alla sistemazione degli amici degli amici, il Palazzo non ha una grande idea culturale del Paese. «Le competenze vengono prima di ogni spinta politica, le persone si promuovono per ciò che sanno. I giovani vanno favoriti. Non si interrompe il lavoro di un bravo operatore soltanto perché cambia il governo. Anche questo diremo. Stando ben attenti alle risposte».