Stati Uniti e Cina quell'amore nato per interesse

Questa volta le tuniche arancione sono tibetane, poche settimane fa erano del Mianmar-Birmania, dove furono in molti a subire violenze ed uccisioni da parte dei militari. Ora la repressione a Lhasa sta provocando centinaia di vittime. Fonti tibetane parlano di massacri di monaci, di torture indiscriminate, di rastrellamenti di cittadini inermi con arresti di massa. E nonostante gli appelli della comunità internazionale la repressione continua, anche se Pechino mostra qualche cedimento solo di fronte alle minacce di boicottaggio delle Olimpiadi. È mai possibile far finta di niente e celebrare le Olimpiadi come se nulla fosse? Se lo chiedono in tanti: il Coni, le organizzazioni umanitarie, numerosi intellettuali, uomini dello spettacolo e dello sport, più che i singoli governi, l'Unione europea e le stesse Nazioni Unite. Infatti, di fronte al gigante Cina (un continente di un miliardo e 300 milioni di abitanti), con una potenza economica (e militare) di grandi dimensioni tutti cercano compromessi, fingono di guardare altrove e aspettano in silenzio che la bufera tibetana si acquieti. E tutti confidano in quel saggio del Dalai Lama che chiede solo di ricominciare a dialogare con Pechino, non tanto per rivendicare l'indipendenza del Tibet (come chiedono giustamente otto organizzazioni della resistenza tibetana ), occupato militarmente dalla Cina da cinquanta anni, ma semplicemente la salvaguardia del patrimonio etnico e religioso del "tetto del mondo". I tibetani, con la massiccia immigrazione di cinesi dell'etnia Han, oggi si trovano, per la prima volta nella loro storia millenaria, minoranza nel loro stesso paese. Le autorità cinesi hanno capito che le Olimpiadi di agosto rappresentano una grande opportunità per risvegliare nella popolazione del Tibet lo spirito di indipendenza e sensibilizzare l'opinione pubblica mondiale sul "caso Tibet" ed hanno risposto intensificando la repressione. Com'è noto, tutto è cominciato con la decisione dell'esercito indiano di bloccare, dopo la forte pressione di Pechino, la "marcia del ritorno", organizzata da otto organizzazioni di tibetani in esilio, partita da Dharamsala, in India, il 10 marzo scorso e che avrebbe dovuto concludersi l'8 agosto in Tibet, in coincidenza con l'apertura delle Olimpiadi di Pechino. Per la verità la marcia non è stata del tutto bloccata: continua per iniziativa di poche decine di profughi tibetani e monaci. Ancora una volta sono i sai arancioni a "fare la storia", in Birmania,nel Nepal e in Tibet. Come se ne uscirà? Alla fine Pechino farà qualche modesta concessione, accettando negoziati che dureranno mesi, forse anni. E nel frattempo le Olimpiadi si potranno realizzare, con buona pace dell'Occidente e degli Stati Uniti in modo particolare,che certo non hanno alcuna intenzione di guastare i loro rapporti (soprattutto economici) con Pechino. Non è del resto casuale che pochi giorni fa il Dipartimento di Stato Usa abbia deciso di cancellare la Cina dalla lista nera dei paesi che violano i diritti umani, dove continuano a figurare la Corea del Nord, Birmania, Iran, Siria, Zimbabwe, Cuba, Bielorussia, Uzbekistan, Eritrea e Sudan. La grande Cina è stata stranamente "assolta", anche se Washington ha confermato che in quel paese continuano le gravissime violazioni ai diritti umani. In altre parole, nel rapporto Usa, si denunciano le persecuzioni delle minoranze etniche e religiose (a cominciare dai tibetani), l'uso generalizzato della tortura, le forti limitazioni alla libertà di pensiero e di stampa e l'esistenza di oltre mille laogai (i famigerati gulag cinesi). Come si spiega questa contraddizione? È semplice: gli Usa, ormai in recessione economica, hanno bisogno di intensificare gli investimenti nel grande mercato cinese, ricercando più consistenti accordi commerciali, industriali e finanziari. Del resto, Stati Uniti e Cina, si sono trovati "alleati" in sede di Nazioni Unite, nel respingere la moratoria sulle esecuzioni della pena capitale. Ecco la ragione per cui la Casa Bianca non intende incoraggiare le iniziative di boicottaggio delle Olimpiadi e preferisce (anche per proteggere meglio i suoi atleti) aiutare la grande macchina militar-poliziesca del gigante cinese per prevenire ogni tipo di attentato, soprattutto di origine islamico.