Il film Convince e coinvolge la regia dell'esordiente Eran Kolirin che firma un inno alla speranza «La banda» fa dimenticare la guerra arabo-israeliana
Si segue con piacere, convince, in qualche momento perfino coinvolge. Anche se il regista esordiente, Eran Kolirin, che si è scritto il testo, ha volutamente evitato qualsiasi allusione ai conflitti israelo-palestinesi di ieri e di oggi, privilegiando delle indicazioni di luoghi e personaggi quasi atemporali, evitando riferimenti a date e situazioni precise. Lo spunto è semplicissimo. La banda della polizia di Alessandria d'Egitto arriva in una cittadina israeliana dove dovrebbero attenderla per un concerto da tenersi in una località vicina. Se non che non trovano nessuno. La cittadina è isolata in una specie di deserto, l'ultimo autobus che la collega a un centro di maggior rilievo (forse quello dove la banda dovrebbe suonare) è partito da un pezzo e per il prossimo bisognerà attendere il giorno dopo. Ecco la banda, una decina di persone con le loro uniformi, i loro gradi e una disciplina militare che comincia a tenerle unite. Nel vuoto, nel silenzio, senza valuta locale e, se la possedessero, con poche occasioni per spenderla perché lì non c'è neanche un albergo. Però c'è la proprietaria di un piccolo ristorante, israeliana naturalmente e a fianco ha un gruppetto di amici che si fanno subito premura di ospitare quei nuovi venuti per una notte, preoccupandosi anche di rifocillarli alla meglio. Tutto qui, ma il film si impone per la delicatezza con cui sono tratteggiati gli incontri fra i due gruppi all'inizio tanto estranei fra loro, per i tratti fini con cui sono disegnati i caratteri dei personaggi, per la trama sottile di situazioni sempre garbate che via via li lega. Con accenti lievi, con momenti sospesi in cui prevale l'alluso, finendo presto per evocare su tutto (e su un'azione che sa risolversi anche in non azione) un clima raccolto, affabile senza retorica, umano senza patetismi, percorso da quella cifra segreta che, pur evitando appunto citazioni e date, di fronte alla difficile convivenza arabo-israeliana a noi ben nota, sembra indicare, in silenzio, le stesse soluzioni pacifiche che quella piccola cronaca ha ardito suggerire. Una soluzione, anche questa solo accennata di riflesso, che si può forse anche intuire nel noto attore israeliano Sasson Gabai che interpreta il capobanda egiziano. Recitando in arabo e indossando una divisa che non lo mette in contraddizione con sé stesso.