"Kurdistan nazione fantasma"
In questo calcolo c'è della esagerazione; ma è un fatto che un censimento preciso non esiste. Il dato che accomuna tutti i forti nuclei è la persecuzione, sistematica, ricorrente, spietata. La storiografia contemporanea - per dirne una - sorvola sulla circostanza che all'inizio degli anni Venti del secolo scorso gli inglesi (l'Iraq è una loro invenzione) non esitarono a impiegare l'iprite, per indurre le tribù del nord a più miti pretese. Ieri, come oggi, la repressione è la regola. L'ennesima incursione dell'esercito turco nel Kurdistan iracheno è la dimostrazione che l'assetto della regione, nel dopo-Saddam, ispirato a una larga autonomia, non ha scalfito il problema di fondo: quale? L'aspirazione a uno Stato per porre termine alla diaspora di questo popolo. Ci fu un momento in cui, per calcolo o per semplice convenienza, il più prestigioso dei capi kurdi, il Mullah Mustafa Barzani, si prestò ad assecondare i piani di Stalin, e quindi a farsi «satellizzare», pur di dare corpo all'agognato Stato autonomo. Stalin, georgiano, Commissario alla Nazionalità con Lenin, era troppo conoscitore delle realtà etniche caucasiche e sub-caucasiche, per non cogliere l'opportunità che gli veniva offerta: creare uno Stato-fantoccio in grado di fare da catalizzatore per tutte le comunità stanziate nei Paesi confinanti. Inoltre, era un modo efficace per mettere una ipoteca sui ricchi giacimenti petroliferi di Kirkuk e Mosul, che hanno sempre condizionato le vicende del Kurdistan. Barzani venne insignito col grado di Maresciallo dell'Armata Rossa, quando le truppe sovietiche, d'intesa con gli inglesi, occuparono l'Iran settentrionale (agosto 1941), detronizzando Reza Shah, accusato di essere filo-Asse e di ospitare numerosi tecnici e istruttori tedeschi. Dopo il 1945, ci volle del bello e del buono per indurre Stalin a ritirarsi: ma il dittatore non ebbe scelta, in quanto la Gran Bretagna e gli Stati Uniti (che detenevano ancora il monopolio della bomba atomica) furono irremovibili. Il Mullah, fu costretto a un lungo esilio nell'Unione Sovietica. Riapparve in Iraq nel 1958, dopo la caduta della monarchia hascemita, sperando nel «nuovo corso» del presidente-militare Abdel Karim Kassem (il quale, tanto per cambiare, dopo un apparrente «modus vivendi», trattò i kurdi a colpi di bombe e di napalm). Fu proprio un giornalista de «Il Tempo», Franz Maria D'Asaro, a intervistare Barzani a Baghdad (da quell'incontro D'Asaro trasse anche un libro: «Kurdistan nazione fantasma»). I successori di Kassem - i due fratelli Aref, Hassan Al Bakr, Saddam Hussein, col che si arriva ai giorni nostri - si distinsero per la varietà dei mezzi di offesa, messi in atto contro gli irriducibili montanari del nord, comprese le armi chimiche. Il regime militare di Baghadad non esitò a ricorrere a sistemi inediti, quanto atroci, di sterminio, come il lancio di contenitori con topi infetti, per provocare epidemie di tifo. Spentosi lontano dalla sua terra, negli Stati Uniti, Barzani venne sepolto nel villaggio di Ochnovich, Azerbaigian Orientale, non lontano dai luoghi dove aveva combattuto le sue ultime battaglie per l'indipendenza kurda, prima che l'Iran - raggiunto un accordo con l'Iraq - tagliasse i rifornimenti ai guerriglieri. Più volte, d'intesa con l'Iraq, la Turchia impiegò l'aviazione per estesi bombardamenti nel Kurdistan: un «copione» che si è ripetuto anche in questi giorni. Il terzo millennio - tra i tanti problemi irrisolti - ha ereditato dal secolo Ventesimo anche quello dei kurdi. Come la mettiamo con la loro aspirazione a creare uno stato sovrano, dopo che la stessa cosa è stata concessa ai kosovari?