Sandrelli: "Io, antidiva innamorata della vita"

Da "Divorzio all'italiana" di Pietro Germi a "L'ultimo bacio" di Gabriele Muccino, Stefania Sandrelli - classe 1946 - ha conquistato il cuore della gente e la testa dei critici più spinosi. Un'ulteriore conferma della sua professionalità è arrivata in questi giorni. Per la prima volta, i film italiani sono stati considerati un vero e proprio tesoro da proteggere e conservare, come si fa con i beni culturali, e da far vedere ai giovani. Una commissione di esperti, in seguito all'appello lanciato nel 2006 dalle Giornate degli Autori di Venezia, ne ha selezionati 101: in un periodo che va dal 1942 al 1978, dagli albori del Neorealismo agli Anni di Piombo. E un posto d'onore occupa Stefania Sandrelli, unica attrice presente con ben cinque film: "Divorzio all'italiana" (Pietro Germi, 1961); "Io la conoscevo bene" (Ettore Pietrangeli, 1965); "Il Conformista" (Bernardo Bertolucci, 1970); "Novecento" (Bertolucci, 1976); "C'eravamo tanto amati" (Ettore Scola, 1974). Stefania Sandrelli si è dichiarata «felice di rappresentare l'Italia, le italiane, e anche me stessa, con questi 5 film di cui sono orgogliosissima. Guai a chi me li tocca! È impossibile privilegiare un film ad un altro. Non provo nostalgia per il passato e vedo con piacere i film originali dei giovani autori. Il cinema racconta la realtà e la realtà muta. Non si può vedere sempre lo stesso film». La Sandrelli ha spesso rivelato di non provare «nessun particolare rimpianto» nella sua carriera. Ma, «forse, mi dispiace di non aver recitato in film come "La ragazza di Bube" e "Il giardino dei Finzi-Contini", ci furono problemi di produzione. Mi sono sempre messa in gioco interpretando ruoli diversi, anche con un po' di incoscienza, non ho mai costruito la mia carriera a tavolino. Se fossi stata una star ne avrei pagato un po' le conseguenze, ma mi trovo a mio agio in questa carriera bislacca e anomala. Dovendo scegliere, tra un film dove si ostenta la bravura o la beltà, ho sempre preferito un film corale artisticamente più valido. Sono passata da figlia e fidanzata a madre, zia o nonna, mi sono adeguata persino all'era della fiction, ma comunque mi aspetto ancora qualche bel regalo dal cinema italiano. Di Mastroianni ho un ricordo meraviglioso, mi sentivo fortunata a lavorare con lui. Ne ero affascinata. Non perdevo occasione di spiarlo, soprattutto quando - beato lui! - dormicchiava al trucco. Lui dormiva e io lo spiavo. Marcello era un uomo semplice, normale, umano, naturale, ritroso e amava la buona tavola. Non avrei mai immaginato di iniziare a lavorare con lui». Oltre al meritato onore della Sandrelli, non sono però mancate le polemiche sulla scelta dei film da salvare. Grande escluso Sergio Leone che non è ricordato nemmeno con una delle sue straordinarie pellicole: «Non è certo una dimenticanza verso un grande maestro come lui - ha sottolineato la Sandrelli -. Credo semplicemente che siano stati scelti dei film che contenessero, oltre alla qualità, uno spaccato preciso dell'Italia, che fossero rappresentativi di un periodo ben preciso del nostro Paese, con una ambientazione tutta italiana. Ne è una conferma il fatto che oltre a Leone figurano altri eccelsi esclusi, come i fratelli Taviani». In classifica su tutti domina - e non poteva essere altrimenti - Federico Fellini, con 7 opere inserite in graduatoria: "Lo sceicco bianco" (1952), "I Vitelloni" (1953), "La strada" (1954), "Le notti di Cabiria" (1957), "La dolce vita" (1960), "Otto e mezzo" (1963), "Amarcord" (1974). Più un ottavo film in comproprietà: "Luci del varietà", diretto nel 1950 a quattro mani con Alberto Lattuada (presente in classifica anche con "Mafioso" e "La spiaggia"). Al secondo posto, dietro Fellini, c'è Luchino Visconti, con sei citazioni: "Ossessione" (1943), "La terra trema" (1948), "Bellissima" (1951), "Senso" (1954), "Rocco e i suoi fratelli" (1960), "Il Gattopardo" (1963). Dopo di lui, l'intramontabile Vittorio De Sica, con "Sciuscià" (1946), "Ladri di biciclette" (1948), "Miracolo a Milano" (1951), "Umberto D" (1952) e "L'oro di Napoli" (1954). A pari merito, sempre con cinque film, un paladino del cinema d'impegno come Francesco Rosi, con "I magliari" (1959), "Salvatore Giuliano" (1962), "Le mani sulla città" (1963), "Il caso Mattei" (1972) e "Cadaveri eccellenti" (1976). Ex aequo con Rosi e De Sica, figura Mario Monicelli, con "Guardie e ladri" (1951), "Un eroe dei nostri tempi" (1955), "I soliti ignoti" (1958), "La grande guerra" (1959) e "Un borghese piccolo piccolo" (1977). Quattro film, rappresentano invece il grande maestro del neorealismo Roberto Rossellini ("Roma città aperta", "Paisà", "Stromboli" ed "Europa 51"); mentre un altro mito della commedia, Dino Risi, è menzionato con gli indimenticabili "Poveri ma belli", "Una vita difficile", "Il sorpasso" e "I mostri".