Quell'Africa dove soffrono soprattutto i bambini
A quel viaggio e a quel libro, con lo stesso titolo, si rivolge adesso il film di oggi realizzato con impegni eguali da Franco Brogi Taviani, fratello di Paolo e di Vittorio e noto non solo come regista, in teatro in TV e al cinema, ma anche come autore di molti documentari apprezzati e premiati un po' dovunque. Un viaggio, perciò, anche qui, sulle orme, ma con molta libertà, del libro di Veltroni. In due cifre, la disperazione e, solo accennata ma decisa, la speranza. La disperazione, in certi paesi dell'Africa, sembra la nota dominante perché le statistiche, angosciando, dicono subito che, ad esempio, in Mozambico e in Angola, ci sono ancora venti milioni di mine, con le conseguenze che sappiamo; che in nove paesi l'aspettativa media di vita è scesa sotto i quarant'anni; che un bambino su sei muore prima di arrivare ai cinque anni e quando non muore di stenti muore in guerra perché, sottratto alla famiglia, certe bande, mettendogli in mano un fucile, l'hanno costretto a sparare spesso anche, contro i suoi, oppure rischia la vita perché, ad esempio in Angola, bastano alcune disgrazie in casa perché, con minacce letali, lo si accusi di portare il malocchio. Senza contare gli orfani di genitori morti di AIDS (quindici milioni) e quelli che vivono (e muoiono) in zone in cui la percentuale di individui denutriti supera il 35%... Il film li incontra tutti, li fa parlare, li ascolta, li inquadra nelle loro cornici, rievoca (e ricostruisce con sapienza) i climi che li esprimono, le circostanze che li determinano. Con un linguaggio asciutto, senza né patetismi né retorica, tenendosi ai fatti, alla cronaca diretta e personale, ma anche a quella che ci suscita di fronte gli echi di un coro. Mentre appunto, su un altro versante, si accenna alle possibilità in cui si riesce a difendere la vita, a guarire, a ricostruire, a salvare. Con il soccorso di organizzazioni umanitarie, ma anche con la forza dei singoli, pronti a non accettare l'annientamento e la morte. Echeggiata, questa forza, da un commento musicale in cui ha spazi suggestivi la voce di una giovane cantante sudafricana, intenta a farci intendere che se in Africa l'obiettivo non è quello di essere felici ma di sopravvivere, l'imperativo per tutti è di raggiungerlo ad ogni costo. Altrimenti sarebbe peggio di una guerra persa