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La musica è tornata a Kabul. Suoni soavi scaturiti da ...

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«Per la ricostruzione del sistema educativo in Afghanistan ripartiamo dalla musica e dallo sport», spiegano all'Ong. Il progetto di Marco Bagherio ha un nome quanto mai significativo «Afghanistan back to the music». E la musica a Kabul è donna. La scuola, Victoria school, è diretta infatti da un'insegnante donna, la pianista Rita Cucè del Conservatorio di Perugia. Tra gli allievi anche ragazze e cinque insegnanti sono donne. Da sempre, in Afghanistan, un enorme numero di musicisti era composto da donne perché le feste matrimoniali sono abitualmente accompagnate dal suono dei tamburelli, di competenza tradizionalmente femminile. Contrariamente a quanto si crede, la musica non fu bandita dai talebani, ma anni prima da quei mujaheddin che vinta la guerra con l'Unione sovietica entrarono vittoriosi nel 1992 a Kabul. I talebani non fecero altro che inasprire divieti già in vigore. Oggi però le note della «musica modale» tramandata in via orale anche durante il periodo oscurantista torna appunto a far sentire i suoi suoni. «È incredibile come la musica unisca e soprattutto quanti legami che si perdono nella notte dei tempi leghino la nostra tradizione musicale con la loro» spiega Rita Cucè. Intorno all'anno Mille infatti quello che in Occidente si trasformò in canto gregoriano, in Afghanistan, terra martoriata, le note si concatenarono nella musica modale. Una musica fatta da antichi strumenti come appunto il chanter, un flauto dal suono lirico e dal Rabab un liuto a manico corto. Ma la tradizione afghana esprime anche suoni efficaci e forti come quelli delle tablas, tamburi, che danno un ritmo antico e coinvolgente. «La musica è rimasta dentro gli afghani anche durante gli anni del regime talebano - racconta Marco Bragherio - così un padre, musicista, per tramadare alla figlia la sua arte, dipinse su una tavola del pavimento i tasti bianchi e neri di un pianoforte. La sera, lontano da sguardi e occhi indiscreti, la tavola veniva tolta dal suo alloggiamento e così la bambina imparava su quei tasti muti la musica. Poi la tavola veniva nuovamente inserita tra le altre e quel pianoforte improvvisato, spariva. Quella bambina è venuta alla nostra scuola e quando ha fatto il provino sulla tastiera di un armonium le sue dita andavano spedite come quelle di un'esperta concertista». Una sfida che Rita Cucè ha raccolto con entusiasmo colta da una folgorazione. «L'impegno di fare qualcosa per le donne afghane e la passione per la musica mi hanno spinto ad accettare subito l'offerta», ricorda la pianista. Così nel 2002 la scuola prende vita e lei, donna, occidentale e non islamica, suona, prima volta dopo 40 anni, a Kabul davanti a una platea in gran parte maschile. Sonate e partite di Mozart e Bach riempirono la sala per concludere con le fantasie di Scarlatti. I tenebrosi afghani applaudirono ma non solo. «Un famoso cantante locale si alzò - racconta la pianista - e dopo essersi complimentato, sbalordendo tutti, invitò una cantante afghana che era tra il pubblico a far sentire la sua voce». Era la prima volta che una donna tornava a esibirsi dai tempi del re Zahir Shah. E Bibi Pharadeen cantò una canzone dal tema fortemnte erotico che però non creò scandalo, tutt'altro. Oggi Pharadeen lavora per la radio di Kabul ed è stata chiamata a esibirsi in molte altre occasioni ed è tra le insegnati di canto della Victoria school. La scuola di musica intanto si è ingrandita e ora, ospite del campus universitario di Kabul conta 60 alunni di cui 20 donne. Ha 23 insegnanti, e 5 sono donne. Si insegnano strumenti tradizionali oltre a violino, armonium, tastiere e canto. «La scuola di fatto funziona anche da centro di socializzazione - spiega la direttrice Rita Cucè - Gli allievi vengono da strati sociali diversi e sono di etnie diverse ma grazie alla musica formano un nucleo molto compatto. Si sentono uniti anche se sono molto timidi per un pudore che viene un po' dalla tradizione un po' dalle paure passate. Fare musica a Kabul vuol dire vivere e soprattutto sperare. Sperare che il futuro sia diverso da quel passato così lungamente tragico e pieno di sofferenze».

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