Nessuna pietà per i terroristi:
Visi narra una personalità che verrebbe ovvio definire «al di là di ogni clichet» e che invece, più realisticamente, contiene un protagonista della storia del suo Paese, un diplomatico convinto che le soluzioni bisogna andarsele a cercare. Con tenacia, intelligenza e sacrifici. Ehud Gol vive per Israele e per la sua famiglia. L'Italia gli è rimasta nel cuore. S'abbandona alla nostalgia quando pensa alla Sicilia, alla Campania «a tutto il sud». E poi il cibo, il calcio: un po' Roma, un po' Lazio. Ai cinque anni romani dedicherà il suo prossimo libro. Parla da Gerusalemme. «C'è il sole, è una bellissima giornata». Anche a Roma. L'operazione «inverno caldo» si è appena conclusa. Hamas canta vittoria sorvolando sulle dichiarazioni del premier Olmert che ha confermato la linea dura in caso di nuovi bombardamenti. «È una tragedia per noi e per i palestinesi. Tre anni fa siamo usciti da Gaza. Ci aspettavamo dialogo, collaborazione, ingoiamo violenza tutti i giorni». Trattative, dialogo, collaborazione. Alla fine sembra una beffa. Nulla cambia, la guerra continua. «Trattare è giusto, inevitabile, necessario». Con chi? «Non certo con Hamas, sono terroristi. Lo sanno tutti. Il mondo occidentale lo ha stabilito. E con i terroristi non c'è parola utile. Bastano le armi». E allora con chi? «Con i moderati, con i palestinesi che vogliono la pace. Abbiamo lo stesso sogno». Che appare sempre più lontano. «Ci vuole tempo. Non bisogna distrarsi dalla potenza negoziale, occorre un lavoro quotidiano per ampliare la qualità e la quantità delle relazioni con i moderati». Il senso è stringere relazioni, stabilire obiettivi comuni, determinare l'isolamento dei terroristi e colpirli? «Sono nato qui. Israele ha relazioni di pace con la maggior parte del mondo arabo. Non c'è altra soluzione che continuare a parlare. A parlarsi». L'Iran vi vuole cancellare dalla faccia della terra, Hezbollah ha dichiarato guerra a Israele. «L'Iran rappresenta un fattore di destabilizzazione. Il più negativo, il più pericoloso, soprattutto per la convinta adesione all'armamento nucleare. Iran, Hezbollah, Siria, Hamas. Eccoli, con loro è inutile trattare. Ci difenderemo, ogni volta che ci attaccheranno». L'America e i grandi mediatori sono sulla strada giusta? «L'America esercita un ruolo importante. Da sessant'anni. Ora si sta scegliendo il nuovo presidente, è difficile aspettarsi iniziative diverse da quelle avviate». McCain o Obama? McCain o Hillary? «Personalmente conosco soltanto la signora Clinton, ma, chiunque sarà il presidente, per noi non cambierà nulla. L'America è un alleato fedele. Fondamentali i suoi contatti con il mondo arabo. Non cambierà la lotta al terrorismo». Ha avuto parole dure nei confronti dell'Onu. «Ho pensieri chiari nei confronti di una organizzazione di cui fanno parte 55 Paesi musulmani che non hanno relazioni con Israele, di un'organizzazione che accoglie molti Paesi totalitari che criticano Israele a prescindere». Insomma, a volte dannosa. E il dialogo avviato da Benedetto XVI fra le religioni del mondo le appare di una qualche utilità? «Il dialogo si svolge e ha senso fra i moderati». Moderati nella Fede? «Moderati. Naturalmente ostili al terrorismo». La scelta militare adottata in Iraq e in Afghanistan ha portato risultati concreti? «In Iraq non c'è più Saddam, in Afghanistan non ci sono i taliban. Mi sembra un successo. Non siamo al cento per cento degli obiettivi raggiunti. Ma i risultati dimostrano che i militari servono». E costano. «Il 25 per cento del nostro bilancio è destinato alla difesa. Un peccato: miliardi di dollari che potrebbero essere destinati allo sviluppo. A far crescere il nostro Paese». Il terrorismo spaventa e impoverisce. Vuol dire questo? «Anche. Il terrorismo e la fame sono i problemi del mondo». Passando per acqua e petrolio. «Alcuni Paesi usano il petrolio come arma, altri tendono a minimizzare la questione. La verità è che bisogna concretamente pensare a risorse energetiche alternative per sottrarsi a ogni possibile ricatto. Per l'acqua è più difficile. In Israele ancora di più. Questione amara, facciamo il massimo». I prodotti cinesi a basso costo, la droga afghana, l'intraprendenza indiana, gli arabi in grado di comprarsi il mondo, un messicano appena diventato il più ricco della terra. Che fine faranno America ed Europa? «Devono unirsi e collaborare sempre di più per vincere le prossime sfide. Non possono fare altro. È un obbligo». In mezzo c'è la Russia. «Solo otto anni fa era un Paese debole. Oggi, dopo Putin, ha un ruolo molto più centrale. Vedremo che cosa farà il neo presidente. Diamogli tempo». Che voto dà alla nostra politica estera vista da Gerusalemme? «Ben bilanciata. L'Italia è un Paese chiave fra quelli che ci sono vicini. Quando ero a Roma c'era Berlusconi al governo e abbiamo avuto relazioni straordinarie». Il ministro degli Esteri D'Alema è convinto che bisogna trattare con tutti quelli che stanno a Gaza, non solo con il presidente Abu Mazen. «Da qui non posso valutare le sue dichiarazioni». Che s'aspetta dal prossimo governo? «Quello che abbiamo avuto dal precedente e prima ancora, amicizia e qualcosa di più: più visite, più scambi commerciali. Relazioni chiare». Due parole su Veltroni. «Peccato non averlo incontrato alla presentazione del mio libro. È stato un buon sindaco». E su Berlusconi. «Grande amico, ha scritto la prefazione al mio libro». Quante volte al giorno parla con il presidente Olmert? «Lo sento quando posso. Il mio lavoro, quest'anno, mi porta continuamente in giro per il mondo». La politica è la sua passione? «La famiglia è la mia passione, la politica è un interesse». E la Fede, com'è il suo rapporto con Dio? «Senza Fede una persona non è completa». C'è qualcosa che le fa paura? «Sì, il terrorismo».