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Puccini, quel difficile cammino per divenire re del melodramma

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Puccini fu insomma l'ultimo dei grandi operisti, capace di coniugare i più aggiornati risultati della ricerca linguistica (soprattutto in fatto di armonia ed orchestrazione) con il gusto del pubblico fin de siècle investito dal modernismo novecentesco. Quest'anno, in occasione del centocinquantenario della nascita, sono in molti a ricordarlo inevitabilmente. L'Opera di Roma gli ha dedicato una Tosca nel giorno di Tosca (14 gennaio) e tra poco una Fanciulla del West, presentata appunto a Roma in prima italiana dopo il debutto americano. Ma il tutto Puccini prosegue come una epidemia salutare alla Scala e al Festival pucciniano di Torre del lago, che ha assegnato qualche mese fa a Chailly il premio Puccini. Eppure il cammino di Puccini, primo compositore italiano di risonanza davvero internazionale della sua epoca, fu tutt'altro che facile. Insomma a lungo il «caso Puccini» fu affrontato dalla critica con sufficienza, con sussiego, con riserva. Ma poi Puccini non tardò presso il pubblico a conquistarsi il ruolo di più autorevole erede di Verdi. Il segreto del suo consolidato successo presso critica e pubblico consiste nella sua capacità di essere stilisticamente moderno senza però rinunciare alla cantabilità, dono secolare dell'opera italiana.

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