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Ci servirebbe davvero un Prezzolini, adesso. Farebbe bene ...

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Uno capace di pensare oltre gli orizzonti del suo Paese, importatore in Italia della way of life americana e importatore in America della cultura italiana. Chi era Giuseppe Prezzolini? Un intellettuale controcorrente, un giornalista senza fronzoli. L'ideatore della maggiore rivista culturale del Novecento, «La Voce», capace di vendere cinquemila copie. Ma la definizione più esatta gli viene da una biografia appena uscita, frutto di un minuzioso lavoro che ha impegnato Gennaro Sangiuliano, già direttore del quotidiano «Roma» di Napoli, ora caporedattore in Rai. Dunque, Prezzolini era un «anarchico conservatore», sottotitola il libro, edito da Mursia. E ancora: nazionalista (nel 1914 fu interventista) e antiitaliano, mussoliniano ma sferzante critico del fascismo quando diventò regime. Comunque anticomunista (Togliatti lo definì «meretrice venduta su tutti i marciapiedi», Prezzolini gli rispose: «Tu sei il pederasta passivo dei russi»). Per Sangiuliano Prezzolini potrebbe essere l'uomo della «destra che non c'è». Per i «grillini» d'Italia il feroce accusatore dei politici corrotti. Un monumento, comunque: non foss'altro perché nella sua vita lunga cento anni - dei quali 30 passati negli Stati Uniti, a insegnare in università senza essere laureato («Papini è stato la mia università», sosteneva) - ebbe il carisma di colui che dice sempre quello che pensa. Chi era Prezzolini lo sa bene anche questo giornale. Il suo fondatore, Renato Angiolillo, lo volle tra le firme de «Il Tempo» (con Malaparte, Enrigo Falqui, Silvio D'Amico, Virgilio Lilli, Gianni Granzotto), il quotidiano nato il giorno dell'ingresso degli americani a Roma. Prezzolini, alias Giuliano il Sofista, aveva 63 anni, viveva da 16 negli States, poteva raccontare il Paese della democrazia e della libertà come nessun altro. Così racconta l'ingaggio: «Un bel giorno, come si dice dei componimenti di scuola, sulla fine del 1945, il mio amico Oreste Mosca, che era vicedirettore de "Il Tempo", con molta abilità fondato e diretto da Renato Angiolillo dopo il ritorno della libertà di stampa a Roma, pensò che io avrei potuto essere un discreto corrispondente da New York». È l'avvio di una seconda vita per il «Sofista», che da intellettuale si trasforma in giornalista, e sarà seguitissimo in Italia. Fa analisi politiche, spazia nei temi della politica internazionale. Sa definire con due parole i personaggi alla ribalta. Come il senatore McCarthy, «il martello dei comunisti» o «lo Scelba d'America». Le corrispondenze del '47 sulla visita di Alcide De Gasperi sono pagine di storia, nel '49 Angiolillo gli fa seguire a Washington la firma del Trattato Atlantico. Ma «Giuliano il Sofista» è capace pure di scoop. Come nel settembre '51. De Gasperi deve vedere ancora il capo della Casa Bianca, Prezzolini dà a «Il Tempo» la notizia di un incontro riservatissimo tra il presidente del consiglio e Truman avvenuto in casa del cardinale Spellman. Un altro colpaccio nel '57, quando Prezzolini intervista per primo il nuovo ambasciatore Usa a Roma, Zellerbach. La notorietà in Italia non lo smuove. Classifica i suoi pezzi come «articoli alimentari», cosette per tirare avanti. Una fissazione, quella di Prezzolini per i soldi. Nel '48 «Il Tempo» gli dà 50 mila lire ad articolo, cifra da non disprezzare. E Mario Missiroli, che dirigeva «Il Messaggero», lo rintuzza: «Ti lamenti, ma hai torto. Se ti dicessi i compensi che i giornali italiani corrispondono ai loro collaboratori resteresti di stucco». Negli anni Sessanta Prezzolini decide di tornare in Italia. Si è appena risposato (la prima moglie, che non lo aveva seguito oltreoceano, era morta), va a vivere in costiera amalfitana. Continua a collaborare con «Il Tempo» e poi con altri giornali, tra cui «Il Borghese» di Leo Longanesi. «In redazione veniva talvolta con la moglie - ricorda Fausto Gianfranceschi, per decenni alla guida della Terza Pagina del quotidiano di Piazza Colonna - Un gran signore, eretto nel fisico nonostante avesse 80 anni. Portava pezzi perfetti, d'una chiarezza mentale ineguagliabile». La stessa virtù che coltivò fino alla morte, avvenuta a Lugano, dove il Sofista si era trasferito anche perché l'Italia, diceva, lo oberava di tasse. Al pranzo per i suoi cento anni, nella casa sul lago, siedevano con lui il figlio, la nuora, suor Margherita Marchionne, lo storico Emilio Gentile e Gino Agnese, allora inviato speciale de «Il Tempo». «Portava sempre il basco nero, riempiva cartelle come un fulmine alla macchina per scrivere - ricorda Agnese - Gli chiesi se credeva. Mi rispose: "Ho fatto di tutto ma non sono riuscito a trovare Dio". Era inevitabile in uno come lui che spaccava il capello in quattro. Un grande, grandissimo razionale».

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