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di FRANCO CARDINI Di tanto in tanto, mi diverto a ...

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Provateci anche voi. Sapete chi sono per esempio i signori Deby e Obiang? Conoscete le città di N.Djamena e di Malabo? Queste domande, ripetutamente formulate da un paio di anni a questa parte, non hanno mai avuto una risposta positiva. Si tratta di cose e di persone che riguardano il continente africano: a proposito del quale le mie "cavie", interrogate, hanno tirato fuori solo pochi e incerti brandelli d'informazione: la Libia e Gheddafi, l'Egitto e Mubarak, le stragi dei cristiani in Darfur (ma sull'atlante non hanno saputo identificare tale regione), alla Somalia e l'Etiopia dove avevano sentito di certe crisi in atto, echi vaghi di stragi forse in Ruanda o in Burundi, forse in Burkina Faso, qualche pesante situazione nello Zimbabwe: paesi tutti a loro volta di difficile collocazione geografica. Siamo - lo ripeto - al livello di persone di cultura decisamente elevata. E non scherzo. Tutto ciò mi rinvia a qualche mese fa, quando per poche intense settimane si parlò della Birmania: paese asiatico governato da un feroce regime dittatoriale militare, che ad esempio Tiziano Terzani aveva denunziato da anni, senza suscitare il minimo interesse. E sì che si trattava di una dittatura: e almeno dal 2001, dall'indomani cioè dei tragici attentati dell'11 settembre, la sensazione che i mass media ci avevano trasmesso era quella di un mondo nel quale le democrazie occidentali, con a capo la superpotenza statunitense, si stavano dedicando alla bonifica planetaria delle dittature, alla sistematica "esportazione della democrazia". Ma quali e quante fossero (e sono) queste dittature, poi, non era (non è) mai stato chiarito: l'elenco non andava mai oltre Saddam Hussein, Fidel Castro e qualche meno noto signore balcanico o sudamericano. Gli stessi generali birmani fino a poco tempo fa erano sfuggiti all'attenzione generale: chissà perché. Chissà da che cosa dipende il fatto che i dittatori appaiano e scompaiano con tanta frequenza dalle notizie televisive e giornalistiche; e che la maggior parte di essi resti nell'ombra. Sarà forse che ne esistono di serie A e di serie B o C, magari di più utili o di meno utili; e che vengono denunziati all'opinione pubblica o fatti oggetto di sanzioni o peggio solo se e quando sgarrano. Ma sgarrano rispetto a che cosa, a chi? E se le cose stanno così, non è che noi occidentali ce l'abbiamo con le dittature. Ce la prendiamo solo con quelle che non stanno più al nostro gioco o che non ci fanno più comodo. Guardate, appunto, l'Africa. È poi vero che il signor Mubarak è diventato un modello di democrazia minacciato solo dal terrorismo islamico? E che è di Gheddafi, per anni lunatico tiranno e ora improvvisamente diventato un maturo e equilibrato signore, rispettabile e presentabile? Si sono davvero ravveduti o si sono messi al passo? Si parla dell'Africa. Aspettate a voltar pagina: la cosa ci riguarda da vicino. Il continente nero è un'autentica miniera di materie prime di cui noi abbiamo assoluto bisogno, a cominciar dal solito petrolio: è abitato da gente molto povera: la fame e l'AIDS la falcidiano. Eppure, è una fonte inesauribile di ricchezze: che evidentemente qualcuno gestisce e sfrutta. Chi? La risposta svagata e conformistica è subito pronta: i "corrotti governi locali". Generica, eppure grande verità. Solo che, purtroppo, tali governi locali sono nella maggior parte dei casi direttamente o indirettamente imposti o sostenuti da questa o quella grande potenza mondiale, o dalle multinazionali ad esse collegate. Nel dicembre prossimo, a Lisbona, si terrà il secondo vertice tra l'Unione Europea e l'Africa: si parla di "partenariato" euroafricano, si vuol metter fine sul serio alla desertificazione del Sahel e al pericolo d'inondazioni in Africa occidentale, si parla di lotta seria e capillare contro l'AIDS e altre malattie. Se si volesse fare sul serio, ci sarebbe davvero da preoccuparsi: sono obiettivi grandiosi, pesanti, costosissimi. Intanto, però, si continua con vecchi problemi che raramente salgono alla ribalta. In questi mesi, distrattamente, si sta parlando di uno di essi. Il signor Idriss Deby è il presidente della repubblica del Ciad, nell'Africa centrosettentrionale, la cui capitale è N'Djamena: un paese nel quale si stanno scontrando ferocemente gli interessi di compagnie petrolifere come la Chevron e la Exxon e dove stanno massicciamente arrivando gli interessi cinesi. Deby fu duramente colpito dalla Banca mondiale allora presieduta da Paul Wolfowitz, qualche mese fa, e accusato di corruzione: se ne erano accorti solo allora, o si trattava solo del fatto che stava tentando di "cambiar cavallo" passando dall'alleanza americana a quella cinese? E non parliamo nemmeno del signor Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, dal 1979 "presidente" (si fa per dire) della Guinea Equatoriale la cui capitale è Malabo: forse l'esempio più fulgido al mondo di violenza e corruzione associate. Il paese è membro dell'ONU e associato all'Unione Europea. Quando se ne parla, lo si confonde quasi sempre con la Guinea o con la Guinea Bissau, anch'essi paesi dell'Africa occidentale, ma differenti. Che ne direste se, fra un'Isola dei Famosi e un Grande Fratello, ci occupassimo un po' anche dell'Africa?

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