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IL PETROLIERE, di Paul Thomas Anderson, con Daniel ...

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Altrettanto duro con tutti quanti lo avvicinano, persino con un figlio adottivo, un bambinello impaurito da cui non esisterà a separarsi quando un incidente sui lavori lo farà diventare totalmente sordo. Tra i suoi scontri per accaparrarsi i terreni adatti ai suoi scopi, uno aspro fino a concludersi nel sangue con un avido e ipocrita predicatore di una setta pronto, ad ogni svolta, ad abusare delle sue funzioni per far soldi. Con altri episodi di contorno, non ultimo quello con un misterioso personaggio che, essendosi fatto passare per suo fratellastro, pagherà alla fine con la vita il suo inganno dato che l'altro, in ogni circostanza, non fa mai sconti a nessuno. Ecco, forse, se il film ha un merito -ma non ne ha molti- è il disegno irruente, spietato, quasi furioso di questo personaggio al centro che punta sempre diritto al suo scopo indifferente ai mezzi cui ricorre, dalle frodi, appunto, agli omicidi. La regia di Paul Thomas Anderson lo ha costruito spesso con tratti forti più incline all'azione che non alla psicologia ma, va riconosciuto, con risultati plausibili. Non dissimili, in un altro clima, da quelli ottenuti nella prima parte quando, con piglio documentaristico, ricostruisce le prime avventure dei cercatori di petrolio, le loro ansie, i loro affanni, i drammi da cui spesso erano accompagnate. Nella seconda parte, invece, quando le vicende del protagonista si aggrovigliano attorno a fatti secondari, i ritmi, pur inizialmente abbastanza sostenuti, si sfilacciano, accettano pause, bruschi mutamenti di atmosfere e anche il ritratto del personaggio centrale non tarda a risentirne: tra contraddizioni anche di gusto, sbalzi psicologici, difficoltà ad arrivare a vere conclusioni. Cerca di farvi fronte l'interpretazione di Daniel Day-Lewis che però, priva di quella sensibilità e di quei carismi di cui aveva dato prova in film europei come "Camera con vista", "Il mio piede sinistro" e "Nel nome del padre", si risolve spesso in esteriorità infuriate, senza sfumature. Aggravate da un commento musicale (del chitarrista Jonny Greenwood) aggressivo, lacerato, urlato fino al fastidio.

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