Dina D'Isa d.disa@iltempo.it BERLINO - Prima ...

«Il cinema è stato per me quasi naturalmente il linguaggio migliore da scegliere - ha esordito l'85enne Rosi -. Soprattutto per chi come me è nato a Napoli, una delle più belle città del mondo, ma anche una delle più problematiche. Fin da giovane ho sentito il bisogno di aprire i libri di storia e mi sono formato nella dittatura della verità, nel contrasto, tutto napoletano, tra razionalismo e passionalità, filosofia e sentimento dell'irrazionale. Il caso attuale dell'immondizia che soffoca il mio Paese è una storia antica che non si può risolvere con un colpo di bacchetta magica, perché affonda nel malgoverno, nell'interesse criminale, nella collusione magari involontaria fra poteri che governano una realtà difficile: è questa la grande metafora che ci accompagna da troppo tempo. Napoli, sotto una buccia folcloristica nasconde una realtà di miseria, di rabbia, di sopraffazione e di contrasto tra Nord e Sud del mondo, che da sempre abita il mio cinema. Quando, all'epoca del Neorealismo, si cominciò a filmare la gente vera nelle strade, a scrivere il ritratto del nostro Paese in modo diverso e nuovo, apparve subito chiaro che la questione meridionale era un aspetto cruciale della nostra società». Oltre all'omaggio a Rosi, al quale è stata dedicata a Berlino anche una retrospettiva con tredici dei suoi film, è continuata ieri la cavalcata degli italiani mentre, la stampa tedesca, ha criticato la regia di "Caos Calmo" di Antonello Grimaldi - perché troppo simile alle fiction tv - osannando però l'interpretazione di Moretti (tra gli attori favoriti all'Orso). Insieme al francese «È da molto tempo che ti amo» (debutto alla regia dello scrittore Philippe Claudel) e all'istraeliano "Restless" di Amos Kollek, è stato presentato ieri in concorso anche il film di produzione tedesca diretto dall'italiano Luigi Falorni (ma da anni vive in Germania), "Heart of fire", ispirato alla biografia di Senait Mehari, che racconta dei bambini soldati nel Fronte di Liberazione eritreo degli anni '80. Per molti eritrei è però solo un falso, ma Falorni si difende, perché «al di là del libro, i bambini soldati ci sono stati e ci sono le foto. Volevo narrare una storia universale sulla loro triste realtà e non la vita di Senait Mehari. Questo non è un film contro l'Eritrea, ho una immagine eroica di quei combattenti e del loro coraggio, che mi ricorda quello dei nostri partigiani italiani contro i tedeschi». Ma gli Eritrei non ci stanno e una loro sparuta rappresentanza ha protestato ieri sotto il palazzo della Berlinale. Intanto è in corso una controversia legale relativa all'autobiografia di Mehari: alcuni suoi compagni di classe le hanno fatto causa per diffamazione e il film di Falorni potrebbe così incappare in azioni legali. Gli altri italiani presentati sono infine "Corazones de mujer" di Davide Sordella e Pablo Benedetti - oggi a Panorama - mentre era ieri nella sezione Forum "La terramadre" dell'esordiente Nello La Marca. Nel primo film, con lo pseudonimo K. Kosoof (in arabo "eclisse") i due autori hanno realizzato un documentario sul genere road movie con i protagonisti, Aziz Ahameri (Shakira) e Ghizlane Waldi (Zina), che hanno attinto dalla loro vita reale di marocchini residenti in Italia per raccontare la tradizione, la discriminazione verso le donne, l'omosessualità e i tabù del loro Paese. La seconda pellicola è invece ambientata in Sicilia, a Palma di Montechiaro, paese di Tomasi di Lampedusa e simbolo del sottosviluppo del Sud d'Italia. Il film, in dialetto siciliano stretto e con attori non professionisti, narra come in un paese dove ancora c'é l'emigrazione verso la Germania, sbarcano ogni giorno clandestinamente un gran numero di extra-comunitari, come Alì (Youssif Latif Jarallah). La sua vicenda s'intreccia con quella di Gaetano (Michele La Rosa), ragazzo palermitano deciso a non emigrare che capisce come oltre al suo Sud ne esista un altro, ancora più povero e ancora più a Sud.