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Patti Smith: il rock può ancora salvare il mondo

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Per realizzare i 110 minuti del documentario, il regista e fotografo di "Vogue" Steven Sebring ha seguito la Smith per quasi dodici anni, fino a oggi, con una mostra, un concerto, una pellicola e tre giorni da star. L'altro ieri i due hanno inaugurato la mostra fotografica che accompagna il film e una chiesa sconsacrata sarà il teatro di un concerto della rock star che, diversamente dagli Stones, non lesina la sua arte e ha promesso performance dal vivo, tra canzoni e poesie. Orgogliosa della sua età (61 anni), della sua miopia e del suo essere schiva, Patti Smith appare tra filmati amatoriali, brani di concerti tra ieri e oggi, serate di poesia, di chiacchiere con gli amici e cronache di viaggio: veri e propri bauli di ricordi aperti davanti alla macchina da presa. La musica diventa un tramite per mostrare la sua esistenza, tra figli, storie d'amore, il tempo che passa, l'andirivieni costante tra ieri e oggi nella tecnica del bianco/nero e colore, momenti privati e occasioni pubbliche. Ricordando Bob Dylan come «un giovane spiantato», la musicista si considera un'artista prestata occasionalmente alla canzone. «Ci ho messo anni - ha confessato la rock star americana che ha respinto il mito di cantante punk - per decidermi ad aprire i bagagli della memoria, ma adesso ne sono fiera ed eccitata. Il mio film non è un documentario sulla mia vita, ma alcuni istanti delle mie emozioni, parole e poesie. Sin dal mio primo album ho sempre detto di essere al di là delle etichette e delle categorie, sono indipendente. A casa, ad esempio, ascolto Jimi Hendrix o le opere di Richard Wagner. Le canzoni di protesta possono però ancora ispirare: nel mondo attuale le persone devono agire, protestare, scendendo in piazza o organizzando dei boicottaggi. Al momento ancora non ho deciso per chi votare nella corsa alla Casa Bianca. Amo visitare i cimiteri perché lì vivo qualcosa di toccante: oggi andrò a far visita alla tomba di Bertolt Brecht, in occasione dei 110 anni dalla nascita del drammaturgo tedesco», ha detto la cantante prima di imbracciare una chitarra acustica e intonare "My Blakean Year"». Tilda Swinton è invece protagonista di "Julia" del regista francese Eric Zonca (La vita sognata degli angeli), in concorso ieri a Berlino. L'attrice interpreta una donna di quarant'anni attaccata compulsivamente al bicchiere. Beve continuamente ed è anche una grande bugiarda. Sta per perdere il lavoro e sempre più spesso si ritrova al mattino nel letto di persone che neppure conosce. Agli Alcolisti Anonimi incontra una giovane messicana, Elena, che la convince a rapire suo figlio che è stato dato in affidamento al nonno, un uomo ricco e potente quanto malavitoso. Spinta dal denaro che potrebbe ricavare dal riscatto del bambino, Julia accetta la sfida e si ritrova a gestire un rapimento con impaccio, ma anche con la follia della sua disperazione. La Swinton ha sottolineato che il film «non è affatto un remake di "Gloria" come qualcuno ha detto, io e Zonca siamo dei fan di Cassavetes, ma non volevamo rifare questo film». L'iconoclasta Swinton, nominata quest'anno all'Oscar come attrice non protagonista per "Michael Clayton", potrebbe aspirare ora all'Orso come miglior attrice.

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