I cittadini complici dei politici nel tracollo morale dell'Italia
Mi spiego meglio. Nel 1966, cioè oltre un quarantennio fa, laureato e sposato di fresco, vestii con gioia e orgoglio la divisa grigiazzurra dell'Aeronautica ornata del sottile gallone dorato di sottotenente sulle maniche. Avevo ventisei anni, e le foto nonché i miei ricordi e quelli di colei che all'epoca era la mia ragazza assicurano che ero piuttosto carino. Ma ero anche molto serio: e onoravo con fierezza e austerità il mio ruolo d'ufficiale. Ma conobbi una serie di frustrazioni quando capitai in un corso di ufficiali radaristi organizzato dalla Nato, quindi con colleghi che provenivano dall'America e da tutta Europa. E la cosa più triste era che le mie frustrazioni mi provenivano dagli elogi di cui ero oggetto. «Lei è inappuntabile», mi dicevano; «ha stile, è molto corretto e preciso», e via dicendo. Frasi che regolarmente terminavano con un «Ma sa che lei non sembra un ufficiale italiano?». E sì che ero italianissimo, bruno e con gli occhi castani. Quegli elogi, per giunta proferiti purtroppo con regolare iterazione e in perfetta buonafede, mi ferivano come staffilate. A volte ero tentato di rispondere con durezza: perché vi sentivo, sottinteso, il disprezzo per il mio paese e la mia gente. Da allora è andata sempre peggio: e, siccome al peggio non c'è fondo, ho davvero paura per il futuro. Per il mio lavoro passo molto tempo all'estero, dove debbo dire che gli specialisti italiani (di qualunque cosa) sono amati e stimati. Ma regolarmente considerati ormai delle eccezioni. L'idea diffusa almeno in Europa, dall'Inghilterra alla Francia alla Germania alla stessa "sorella" Spagna, è che gli italiani sono poco onesti, poco puntuali, poco seri in politica e sul lavoro, superficiali, amanti solo dello sport e delle donne, per nulla dotato di senso civico. Se uno davanti a te, su un marciapiede, scarta un gelato e getta in terra la stagnola, subito si pensa che sia italiano. L'italiano parla a voce troppo alta, litiga per strada con il partner, non rispetta i segnali stradali, spintona e non sa stare correttamente in fila quando c'è da aspettare. Clichè, direte voi. Senza dubbio. ma posso assicurare che la mia esperienza fenomenologica conferma puntualmente questi luoghi comuni. Nelle Tv straniere, non si parla quasi mai dell'Italia. Ma quando ciò accade, a parte lo sport, si parla di mafia, o di malavita, o delle disfunzioni nei trasporti (soprattutto ferroviari). A Parigi, dove per lavoro vado una quindicina di giorni ogni due o tre mesi, ho sentito nel metrò dei francesi dir cose di fuoco sulla sporcizia, l'insicurezza, i ritardi e i disagi dei treni italiani: e purtroppo descrivevano esattamente quel che anche a me accade di constatare di continuo. Tra Natale e Capodanno, la Tv francese mostrava ogni giorno la bella Napoli e la dolce Campania: ma entrambe sempre e soltanto affogate nei rifiuti. L'Italia sta diventando un paese in cui i prezzi sono alti come in Germania e i servizi funzionano come nel Burundi. La goccia che ha fatto traboccare il vaso e che davvero mi ha spinto quasi alla disperazione per la vergogna, è stata il dibattito parlamentare che ha salutato la caduta del governo Prodi. Badate, il problema non è politico: la destra e la sinistra non c'entrano. Il fatto è che un paese civile non può tollerare di essere rappresentato, nel più alto consesso della vita politica nazionale, da parlamentari (strapagati, fra l'altro) che s'insultano come facchini, che si sputacchiano tra loro, che s'ingozzano pubblicamente di mortadella in spregio al premier sotto l'occhio delle telecamere, quelle straniere comprese. Un tanghero che si dia a manifestazioni d'inciviltà di questo genere, che offendono e disonorano il Parlamento, offende e disonora anche la società civile che gli ha dato mandato di rappresentarla. In un paese civile, sarebbe quanto meno sospeso dalle sue funzioni. Una società civile degna di questo nome subisserebbe Tv e giornali di protesta finché il Parlamento non fosse liberato da una presenza indegna e indecorosa come quella. Ma gli italiani, nulla. Se ne fregano, magari addirittura ci ridono sopra oppure applaudono. Dando, almeno in questo, perfettamente ragione a Romano prodi, che qualche tempo fa ebbe testualmente ad affermare che il ceto politico del nostro paese non è peggiore della società civile che l'ha espresso. Parole sante, purtroppo. Un deputato spernacchiatore e sputazzatore è degnissimo rappresentante di una società civile che evade le tasse, non rispetta più le donne e gli anziani, disprezza e guasta le pubbliche proprietà, non riesce a organizzare la raccolta differenziata dei rifiuti, trasforma ogni domenica i campi di calcio in campi di battaglia o tollera che tali siano trasformate, accetta di continuare a vivere in un paese nel quale la scuola è distrutta e trionfano malavita e malasanità. Recuperare dignità? Non credo sia possibile: a meno di gravissimi eventi, tutto continuerà a scivolare sempre più in basso e al progressivo degrado ci abitueremo esattamente come abbiamo fatto fino ad ora. Qualcuno sostiene che stiamo attraversando una tipica situazione prerivoluzionaria. Non è vero. Le rivoluzioni scoppiano quando vi sono gruppi o classi sociali che sotto il profilo strutturale sono di vitale importanza per la vita del paese mentre sotto quello istituzionale non vedono adeguatamente riconosciuta la loro presenza. Ma in Italia accade esattamente il contrario: non c'è ambiente, gruppo o lobby che, anche quando non condivide in nulla il potere, non sia in qualche modo colluso e compromesso con il suo cattivo esercizio. Siamo un paese di bustarellatori e di bustarellati, di raccomandatori e di raccomandati, di gente che si adatta a tutto pur di ottenere qualunque vantaggio individuale. I politici sanno bene di potersi fidare di noi: qualunque cosa facciano, siamo loro compari, loro complici. E allora, che fare? Ai primi del secolo scorso il "maledetto toscano" Domenico Giuliotti augurava all'Italia - dove i mali di adesso ancora non c'erano, ma i loro segni incipienti già si profilavano all'orizzonte - un tiranno. Che in effetti venne, ma non riuscì a sistemare i vecchi guai e ne combinò di nuovi. Forte di questa esperienza, non augurerò al mio paese il trauma fortissimo e salutare che potrebbe farlo rinsavire. Vorrei però tanto che ciascuno di noi decidesse che così non si può più andare avanti e da domani, pacatamente e serenamente, decidesse di cambiar vita: così, come qualcuno riesce a fare quando capisce ch'è sul serio arrivata l'ora di mettersi drasticamente a dieta. Sogno per il mio paese, e gli auguro, una collettiva sferzata di amor proprio, di rispetto per se stessi e per gli altri, di senso della cosa pubblica, di assunzione di responsabilità: da subito. Smetter di evadere le tasse, di sporcare per terra, di accapigliarsi allo stadio, di accettar supinamente le porcherie propinate dalla Tv-spazzatura, di far debiti per motivi spesso futili, di abbandonarsi ai consumi facili, di sprecar ricchezza e poi pianger miseria, di pagar pizzi alla malavita e di chieder favori alla malapolitica. Ricominciare a vivere da cittadini coscienti, a pagar correttamente le tasse, a studiare, a informarci; recuperiamo quello che una volta si chiamava senso dello stato. Certo, temo che non succederà. Ma allora bisogna solo aspettarci il peggio.