Into the wild: quando l'amore per la natura diventa una sfida alla società
[...]aveva lasciato Atlanta dov'era nato e da solo, avendo donato tutto il suo denaro a una associazione contro la povertà, aveva intrapreso un lungo viaggio prima su un'auto sgangherata, poi a piedi o con l'autobus, per arrivare fino in Alaska dove pensava di immergersi nel pieno della natura più selvaggia (into the wild, appunto). Due anni dopo, però, l'avrebbero trovato morto su un furgoncino che gli era servito anche da rifugio. Questa singolare vicenda era stata oggetto tempo fa di un libro di uno scrittore americano, Ion Krakauer, non a caso intitolato «Nelle terre estreme» (qui da noi lo si può leggere nelle edizioni Corbaccio). Non solo vi si riepilogava quel viaggio, dai campi di grano del Sud Dakota, lungo il fiume Colorado, fino a una comunità alternativa a Slab City, ma si cercava di approfondire le ragioni, psicologiche e polemiche, di quel giovane che, a una vita comoda e generosa di promesse, ne aveva preferita un'altra così piena di stenti che aveva finito per ucciderlo. E se, per un verso, si indicavano in forti contrasti in famiglia, per un altro davano spazio al desiderio di libertà assoluta e di avventura. Queste stesse indicazioni si ritrovano oggi nel film che ci ha proposto Sean Penn dopo una seria carriera come attore (si ricordi l'Oscar per «Mystic River») e una altrettanto seria come regista («La promessa», con Jack Nicholson). Da una parte, con largo respiro e intenti quasi documentaristici, ci ha rappresentato quel viaggio disseminato di incontri con persone tutte di segno positivo, utili al protagonista quanto lui, presto, lo diventerà per loro, da un'altra, sulla scorta della voce narrante della sua unica sorella, ne ha analizzato il disaccordo in famiglia, la decisa rivolta e, grazie anche ad alcuni flash-back, varie pagine dell'infanzia e dell'adolescenza. Il risultato è uno spettacolo complesso, con un personaggio al centro che cerca e si cerca, che cammina ma non fugge, che, per mirare alla perfezione, fa il vuoto attorno a sé, anche quando, oltre che sulla famiglia ormai lasciata alle spalle, potrebbe contare su nuovi, concreti rapporti che in più momenti gli vengono proposti. La cifra solita dei film americani «on the road», ma resa più intensa da continui approfondimenti psicologici forse solo un po' appesantiti, qua e là, da citazioni letterarie e filosofiche. Nei panni del vero McCandless, il giovane Emile Hirsch già visto in «Alpha Dog» di Nick Cassavetes. Selvatico, ma anche umano come serviva.