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HOTEL MEINA, di Carlo Lizzani, con Benjamin Sadler, Ursula ...

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Oggi siamo di nuovo all'impegno, con un linguaggio teso a suscitare emozioni intensissime senza mai smarrire un solo istante l'equilibrio e la misura. Il tema, come il titolo ci fa intuire, ci mette di fronte a una delle stragi più spietate perpetrate dai nazisti contro gli ebrei subito dopo l'8 settembre. Il Lago maggiore, una vacanza in un albergo che prende il nome dalla ridente località in cui sorge, Meina, appunto. È il momento in cui, dopo l'annuncio dell'armistizio, la guerra sembra stia per finire e molti villeggianti ebrei, alcuni fuggiti da persecuzioni in altri Paesi, tirano un sospiro di sollievo. Presto però oscurato dall'angoscia perché i tedeschi arrivano - è un torvo reparto di SS -, requisiscono l'albergo e, censiti tutti gli ospiti ebrei, li rinchiudono in alcune stanze da cui pensano di farli uscire solo per la "soluzione finale". Che si verificherà puntualmente. Lizzani, questi fatti, in più momenti addirittura atroci, se li è fatti suggerire da un libro che ne aveva fatto la cronaca precisa. Li ha divisi in due parti. La prima quasi serena, anche se già in cifre sospese. I villeggianti ebrei capiscono il pericolo che comincia a incombere ma ancora non lo vedono così tragico, vivono la vita d'albergo, si mescolano ancora ai villeggianti non ebrei che hanno conosciuto, cui, in alcuni casi, si sono legati d'amicizia e da cui, infatti, ricevono aiuti e sostegno. Dopo, però, terrificante, esplode il secondo momento: con le SS pronte ad eseguire gli ordini assassini del loro comandante, con un tentativo di fuga che arriverà solo a pochissimi, con la retata conclusiva che vedrà trucidati tutti gli altri, donne e bambini compresi, poi buttati, di notte, nelle acque del lago. Prima una cronaca che, pur nella sua apparente levità, comincia a rivelare nubi scure d'ansia, poi un susseguirsi di pagine tragiche ricostruite da Lizzani con la sua consueta maestria, toccando, con voluta asprezza, tutti i tasti della disperazione e dell'orrore. Con il risultato di suscitare, ad ogni immagine, un clima soffocante che serra alla gola senza più un momento di respiro, senza una pausa, ma anche -ed è un altro merito- senza un eccesso. Perché bastano quegli eventi orrendi a pretendere, anche senza orpelli né aggiunte, l'emozione più lacerata. Sostenuta da una recitazione, in tutti, anche in interpreti volutamente poco noti per "far vero", che sa adeguarsi alle intenzioni dell'autore. Ancora una volta nobilissime e degne.

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