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Italia in crisi creativa per colpa di burocrati e baroni

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Unmetodo critico, quindi, legato alla psicologia, un filo comune che lega diverse e cruciali questioni umane, storiche e contemporanee, misteriose o contraddittorie. Dal fanatismo religioso e politico al disastro ecologico, dall'esplosione demografica alle paradossali convergenze di maschilismo e femminismo, comunismo e fascismo, statalismo e liberalismo, terrorismo ateo e confessionale. Questo e altro suggerisce il professor Luigi De Marchi, psicologo clinico e sociale, politologo e fondatore di scuole di psicoterapia (come l'Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale di Roma), nel libro "Il nuovo pensiero forte. Marx è morto, Freud è morto, e io mi sento molto meglio" (ed. Spirali, pp. 301, euro 25). Esiste una spiegazione per la declinante creatività che ha accompagnato negli ultimi decenni la geniale inventiva degli italiani, una volta primi in molti campi, dall'arte al design, dal cinema all'industria? «La tragedia della cultura italiana è che il mondo universitario ha esteso in modo cannibalesco il suo potere. Un esempio è la psicoanalisi: per cento anni è stata una disciplina, una scienza, una professione nata e sviluppata negli studi dei liberi professionisti, ma ostacolata dagli accademici. Freud, Jung, Adler e tutti i padri della psicoanalisi, non hanno mai avuto una cattedra. Poi, nel 1989, venne varata una legge tragicomica, per la quale nessun libero professionista poteva più esercitare o insegnare se non aveva studiato nelle scuole di formazione dello Stato. Gli allievi si sono trasformati allora in servili camerieri dei loro baroni. Nelle università è nato il conformismo, il nepotismo e la conseguente negazione della creatività. Si è cominciato a premiare chi segue il proprio barone, senza indipendenza intellettuale. Mentre il popolo dei creativi prendeva la via dell'esilio, nasceva la generazione dei pecoroni burocrati, o dei ribelli criminali e drogati. Si è da allora perpetrato il degrado della cultura creativa». Tutta colpa della formazione, quindi. «La scuola italiana è ricca di nozionismo sovrabbondante e noiosamente comunicato. I docenti dovrebbero essere scelti in base alle loro attitudini: dalla scuola del nozionismo dovremmo passare a quella dell'entusiasmo, e ricordare come insegnava quel professore interpretato da Robin Williams ne "L'attimo fuggente" di Weir». Lei ha elaborato la Teoria liberale della lotta di classe: cosa significa? «La psicologia è più presente nella storia dell'economia. Un esempio: i nazisti e i comunisti, pur essendo agli opposti, sono diventati indistinguibili perché entrambi sono dittature aggressive che tolgono la libertà. Così, esiste la classe sfruttata, non quella di Marx ma quella psicologica, formata da liberi professionisti che lavorano nel privato; e la classe sfruttatrice (la burocrazia)». Come si può uscire da questi anni bui? «L'Italia è una gigantesca Napoli. Per uscire fuori dai rifiuti occorre dare spazio alla creatività dei privati e sopperire alle carenze dello Stato. Occorre limitare la burocrazia, le esagerazioni accademiche e la globalizzazione selvaggia, che ha spalancato le porte a paesi poveri - non omogenei a noi - i quali svendono la loro manodopera creando concorrenza sleale (spesso cinese) contro l'Italia».

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