Un paese in viaggio dal socialismo reale al puro capitalismo

Ma un po' dappertutto, in quei giorni di festa, c'era sempre per le strade tantissima gente. Le donne, tutte magre, dai corpi sinuosi. I giovani che tendono a seguire le mode occidentali: quelli di Shanghai, elegantissimi, moderni, sembravano quasi dei manichini; quelli di Suzhou, invece, ancora fermi al genere punk. Alcuni ci osservavano con un'aria un po' curiosa, altri ci salutavano con un sorriso. Ma per lo più siamo passati, come dire, "inosservati". Diceva Lucilla: "Ci guardano senza vederci, e cioè ci guardano come se noi fossimo trasparenti". Forse era così. Forse, proprio perché "stranieri", proprio perché diversi da loro, gli eravamo del tutto indifferenti. E venivamo invece presi in considerazione come compratori, soltanto come compratori, come portatori di denaro, dai tanti "pataccari" che ci assalivano appena fuori dell'albergo. Comunque, qualche "contatto" c'è stato. Ad esempio, il cinese che a Nanchino si è messo a fotografare noi che fotografavamo un albero su cui buttavano dei nastri colorati, come le monetine a Fontana di Trevi, per esprimere un desiderio. Oppure, in treno, il giovane padre che, conquistato dai miei sorrisi al piccolissimo figlio, ha attraversato due scompartimenti per venire a deporre il bambino tra le mie braccia. O ancora, l'immediatezza con cui un po' tutte le guide - e per prima Min Ming, che ci ha accompagnato per l'intero viaggio - sono entrate in confidenza con noi, sentendoci come gente amica, curiosa di conoscere il loro Paese. Insomma, potremmo dire che, se abbiamo scoperto un po' di Cina, ci siamo riusciti grazie a tutto ciò che abbiamo "visto" con i nostri occhi e abbiamo "letto" nella storia raccontata lungo le sale del museo di Shanghai, ma grazie anche a quel che gli stessi cinesi ci hanno, in qualche modo, spiegato, e fatto vivere. E adesso, cercando di tirare un po' di conclusioni, facciamo una prima osservazione. La Cina è un Paese che si sta spostando, ogni giorno un po' ma in maniera definitiva. Si sposta verso il cielo, cioè verso l'alto, giacché alla Cina di prima, schiacciata sulla terra, si sta sostituendo la Cina dei grattacieli. Interi quartieri, come a Pechino, vengono abbattuti, sventrati, per far posto a costruzioni filiformi, svettanti, che si riempiranno di uffici e soprattutto di abitazioni, perché c'è un bisogno assoluto di case. La popolazione continua a crescere, malgrado esista ancora una legge che impone (ma con molte scappatoie) solo un figlio, e maschio, e malgrado i tanti aborti giovanili. Lo scenario architettonico è tutt'altro che disprezzabile. A Shanghai c'è come un misterioso equilibrio che ha guidato finora, e regolato, la nascita impetuosa di sempre nuovi grattacieli. Sali all'88° piano di quello che, per i suoi 420 metri, è il terzo del mondo, l'Jinmao Dasha; ma lì accanto c'è già in fase di costruzione il World Financial Center, che sta puntando ancora più in su, la vetta ha forato le nubi, non si vede neppure. Siamo a Pudong, il nuovo volto della Cina, il volto ricco, moderno, simbolo di questo singolare impasto di marxismo (ormai in soffitta) e di capitalismo (ma in salsa cinese). Uno di noi, Mauro, era stato qui all'inizio degli anni Novanta. Gli piaceva passeggiare per il Bund, il lungofiume, dove c'erano (e ci sono tuttora) le memorie di un'altra Shanghai, quella del periodo coloniale, dominata dalle potenze straniere, ma città viva, scintillante, misteriosa. Ebbene, a tornarci oggi, Mauro è rimasto come attonito, incredulo. Allora, dall'altra parte del fiume, del Huangpu, c'erano solo poche casupole. Ora c'è Pudong, il regno della finanza internazionale. Ma che significherà tutto questo in futuro? Per capirlo - ed è solo un esempio fra i tanti - basta andare a Suzhou, questa "Venezia cinese", un meraviglioso labirinto di canali e di giardini, concepiti apposta per favorire la meditazione e dai nomi pittoreschi: c'è quello del Maestro delle Reti, quello dell'Umile Amministratore. Ebbene, solo al momento di partire, di tornare in pullman a Shanghai, abbiamo scoperto che sta nascendo un'altra Suzhou, modernissima, tutta grattacieli, a diversi chilometri dal centro storico. Così, tra pochi anni, la città cambierà di "posto", ci sarà un massiccio spostamento di popolazione, e naturalmente con il passare del tempo tutte le attività e gli interessi si trasferiranno nel nuovo centro. Ma viene da chiedersi: questi cambiamenti, visti in una prospettiva più ampia, non potrebbero avere pesanti ricadute sulla vita dell'intero Paese? Non si potrebbe verificare una perdita progressiva della memoria, delle radici di questo grande popolo? Una perdita delle tradizioni e dei valori che ne hanno fatto la storia, e che perciò andrebbero invece salvaguardati, e riproposti alle nuove generazioni? C'è poi un secondo processo che sta avvenendo qui. Forse meno visibile, meno appariscente del primo, della fungaia di palazzi vetrocemento che vanno a grattare il cielo, ma è un processo sicuramente più tumultuoso e più sconvolgente. La Cina si sta spostando verso il mare. O, più esattamente, si sta spostando verso il Sud, verso le aree più dinamiche, quelle dove lo sviluppo economico è già a livelli estremamente avanzati. Dove il libero mercato non è più un tabù da esorcizzare, una ideologia da condannare, ma una realtà concreta, una pratica quotidiana. Da Paese che si caratterizzava per una economia di stampo comunista, seppure nella versione maoista, la Cina si sta dunque trasformando in un Paese capitalistico, seppure nella versione molto pragmatica e molto spregiudicata di Deng Xiaoping: non importa il colore, non importa che sia bianco o nero, quel che importa è che il gatto mangi il topo. Da Paese per lo più agricolo, la Cina si sta trasformando in un Paese industriale, che grazie alle tecniche di "riproduzione" di prodotti occidentali (non di rado su ordinazione delle stesse industrie europee o americane) è riuscito a conquistare i mercati di tutto il mondo. Una pirateria cominciata con i CD, poi sviluppatasi con orologi, borse e vestiti firmati, e ora arrivata alle vetture, addirittura alla Ferrari. Ma anche qui viene inevitabilmente da chiedersi: quali saranno le conseguenze di questa rivoluzione? Ci sarà davvero un allargamento della giustizia a tutti gli strati sociali, e in particolare a quei 700 milioni di contadini che sono ai limiti della sopravvivenza? Oppure ciò non farà che accentuare la forbice tra una minoranza di ricchi, anzi, come dicono qui, di "lussuosi", e una stragrande maggioranza di poveri? E ancora: lo sviluppo industriale, che finora ha mortificato enormemente le campagne, riuscirà ad essere corretto in corso d'opera, in modo da ridare spazio e sostegno all'agricoltura? O questo Paese, come già si diceva, sarà costretto quanto prima ad importare dall'estero i generi alimentari? E si tornerà ai tempi difficili, tristi, di quando un cinese che incontrava per strada un altro cinese si preoccupava anzitutto di chiedergli: "Hai mangiato?". Canton si affaccia sul fiume delle Perle e ha conservato, almeno in certi angoli, il fascino antico. Il Tempio della Famiglia Chen, con i tetti e le facciate decorate di disegni fantastici. L'ex quartiere francese nell'isola di Shamian, con le strade che agli incroci hanno statue di donne europee e cinesi. Il mercato di Qingping, dove trovi di tutto, medicine, spezie, verdure, mazzi di serpenti, e animali vivi, piccoli cani e gattini, che non si riesce a capire che fine faranno, se qualcuno se li porterà a casa per fare una sorpresa ai bambini oppure se finiranno in qualche cucina. Queste, diciamo così, sono le tracce della storia di Canton e della sua tradizionale apertura all'Occidente. Ma poi, ancora più vistose, e ben più drammatiche, ci sono le tracce della storia recente: perché è proprio qui, a Canton, che Deng Xiaoping ha operato una specie di prova generale della modernizzazione cinese, del passaggio a una economia di mercato. Ed ecco, dopo pochi anni, i risultati! Grattacieli, grandi alberghi, bar di lusso, ma anche decine di cantieri edili chiusi, licenziamenti in massa; e intanto, attirati da questa marea di nuova ricchezza, arrivano qui disoccupati da tutto il Paese, mentre aumenta spaventosamente il tasso di criminalità. Anche Hong Kong, a prima vista, ti affascina. La veduta, dalla cima del Victoria Peak, è da mozzare il fiato. A guardare i grattacieli sotto di te, è tutta un'altra cosa. E il porto. E Aberdeen, l'antico villaggio dei pescatori. D'accordo, le giunche sono scomparse, è possibile vederle solo in un museo; e adesso, a portare per mare i turisti, ci sono delle piccole imbarcazioni, i sampan, guidati per lo più da donne, gli uomini lavorano nelle industrie. E comunque, tutto è ancora così suggestivo, così romantico. È qui che hanno girato le scene più famose del film "La vita è una cosa meravigliosa". Ma poi ti dicono che lassù, nelle ville che punteggiano i fianchi delle colline, abitano i miliardari, i "lussuosi", i cui soldi non si sa da dove arrivino, se dalla droga o da traffici mafiosi. E scopri che le banche qui sono talmente potenti da aver resistito perfino a uno dei peggiori terremoti finanziari, il crollo delle Borse asiatiche nel 1997. Quindi, attraversi il ponte, torni sulla terraferma, a Kowloon, e vedi a occhio nudo i mali di una città cresciuta troppo in fretta, tra gli anni Sessanta e Settanta, sia per dare un tetto alle centinaia di migliaia di profughi fuggiti dalla Cina comunista, sia per assumere il più possibile una "veste" occidentale. E così, malgrado siano già passati dieci dei cinquant'anni previsti per il "ritorno" definitivo alla Cina, Hong Kong ha l'aria di voler rimanere attaccata all'Occidente (e alla Gran Bretagna) con tutte le sue forze: conserva la guida a sinistra, parla un cinese tutto suo, pretende il visto dai cinesi dell'"altra parte". Ma, in questo modo, resta in mezzo al guado. Non ha una propria identità. Anzi, peggio, sotto la pressione di questa travolgente esplosione di benessere, sta perdendo la propria anima. "Si continua a pensare solo ai soldi, più ancora di prima", dice la guida. (2.continua)