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Afghanistan terra di confine. Crocevia di antiche civiltà. ...

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É empatia è umanità». Una memoria del passato che si rigenera nelle nuove generazioni che con l'aiuto della Cooperazione italiana vengono formate per restaurare e conservare i reperti recuperati dagli italiani. La Missione archeologica italiana in Afghanistan nasce nel 1956 dal progetto «euro-asiatico» di Giuseppe Tucci, fondatore, con Giovanni Gentile, dell'Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente (IsMEO, oggi IsIAO). E in Afghanistan si aprono nel 1957 le prime indagini archeologiche. La zona prescelta è quella di Ghazni, città sull'altopiano centrale afghano. Benché localizzata in una posizione strategica sulla strada tra Kabul e Kandahar e citata da varie fonti storiche, essa è all'epoca pochissimo nota sotto il profilo archeologico. Ma quasi subito le ricerche permettono di portare alla luce scoperte eccezionali. Vengono così censiti insediamnti preistorici, paleolitici con architetture all'aperto e rupestri. Nel 1958 Umberto Scerrato trova nei pressi di Kandahar un iscrizione rupestre bilingue che diviene subito famosa. Si tratta di un editto dell'imperatore Ashoka (III sec. a.C.) trascritto in aramaico e greco. «La versione bilingue di questo testo è una delle innumerevoli prove di una realtà complessa e variegata, ricca di caratterizzazioni locali e tratti cosmopoliti», spiega la dottoressa Filigenzi. Ed è quanto tiene a sottolineare l'ambasciatore afghano in Italia Musa Maroofi che ricorda come l'Afghanistan «sia stato in passato al centro di civiltà come quella mesopotamica, ellenistica, romana e poi buddista e islamica». Le ricerche della missione italiana sono continuate senza interruzione fino al 1977. Nel carniere degli studiosi il grande insediamento buddista di Tapa Sardar. La piana di Dasht-i-Manara nella provincia di Ghazni si è rivelata una miniera per i nostri archeologi. Del periodo buddista, intorno all'VIII secolo dopo Cristo è rilevante l'area sacra con costruzione di epoche successive. La missione italiana ha contribuito a recuperare la storia della Ghazni di epoca islamica che ha visto il suo splendore durante il dominio dei Ghaznavidi, fondatori di un potente sultanato che, nel corso dell'XI secolo, arriverà ad abbracciare un territorio compreso tra l'Iran nord-orientale e l'India nord-occidentale. Gli scavi archeologici degli anni sessanta condotti appunto dalla Missione Archeologica Italiana, portano alla luce un sontuoso palazzo, voluto, nel 1112, dal sultano Mas'ud III, e una dimora di dignitari di corte, nota come «la casa dei lustri» con un ricco corredo di vasellame in ceramica e metallo. Vista la fragilità del materiale dei reperti e delle strutture la Missione ha sviluppato anche un lavoro di restauro che tutt'oggi è una delle principali attività arricchita dalla formazione di personale afghano che avviene in Italia presso l'Itsuto centrale del restauro di Roma. Dopo l'abbandono forzoso alla fine degli anni '70, con il colpo di stato e l'invasione sovietica poi, nel 2002 la Missione Archeologica Italiana è stata la prima istituzione culturale straniera a tornare in Afghanistan. I lavori sono ripresi con attività di verifica e restauro, sia sui siti archeologici scavati in passato sia sui reperti da essi provenienti. Mentre i siti archeologi sono stati severamente danneggiati dalla guerra, quasi l'85% dei reperti è stato recuperato. Rimasti in gran parte nei magazzini della missione a Ghazni, in parte trasferiti nel Museo di Kabul dalle autorità locali. E oggi per voce dell'ambasciatore afghano viene richiesta una sempre maggiore presenza dell'Italia in questo campo. «Perchè la memoria aiuta a rinascere» come conclude Anna Filigenzi. I lavori sono ripresi con attività di verifica e restauro, sia sui siti archeologici scavati in passato sia sui reperti da essi provenienti.

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