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di LORENZO TOZZI Ascoltarlo è sempre un piacere. Dietro la ...

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Dotato di una salda preparazione classica ma aperto a vivaci interessi nel campo della musica etnica sudamericana, Bacalov con le sue apprezzate colonne sonore ("Il Postino" interpretato da Troisi gli guadagnò nel 1996 l'Oscar) si è schiuso le porte delle più grandi sale da concerto. Giovedì sarà di nuovo al pianoforte ed alla guida della Roma Sinfonietta al Teatro Olimpico per la stagione della Filarmonica per raccontare una Tango story, una sequela di pezzi ispirati al tango argentino firmati, nell'arco di oltre un secolo, oltre che da Bacalov (due Suites di Baires), dal mitico Gardel (El Dia que me quieras e Mi Buenos Aires querido), dal non meno immancabile Piazzolla (Oblivion), ma anche da Albeniz e da Morricone. Cosa rappresenta il tango per lei? «Soprattutto il riappropriarmi della mia città: un lavoro ventennale. Se è diventato un fenomeno planetario, lo si deve a Piazzolla: poi si è diffuso a macchia d'olio e si è riscoperto tutto il tango anteriore a Piazzolla». Quali i suoi rapporti con Piazzolla? «Quando ha vissuto a Roma ci vedevamo spesso. Era insoddisfatto perché riteneva che la vita non gli avesse dato quello che meritava: in Argentina era osteggiato dalla corrente conservatrice del tango. Ma era anche una persona divertente». Quale il suo rapporto con Roma e con l'Italia? «Roma è casa mia. Mi sento il risultato di molte radici, di cui non sento il peso ma la ricchezza». Come ha vissuto i desaparecidos e i bond argentini? «Ho vissuto male soprattutto la dittatura, ma non ho avuto nessun vicino coinvolto. Un periodo difficile è stata anche la bancarotta dello Stato, ma forse c'è stata anche tanta ingenuità».

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