Profetico Popper la bestia nera della sinistra
È altrettanto noto che anche i politici post-comunisti amano citare il filosofo e tradurre le sue affermazioni in pillole di propaganda per il Partito Democratico. Meno noto il fatto che "La società aperta e i suoi nemici" - l'opera di Popper più famosa e dibattuta - "è uno dei libri più letti e studiati nei paesi ex comunisti". Al punto che (e c'è davvero da stupirsene con l'aria che tira da quelle parti) "l'edizione in lingua russa è stata uno dei più grandi successi editoriali di questi ultimi anni". Non è finito: nelle Università cinesi (e sappiamo che l'immenso paese asiatico non è certo un modello di democrazia) si mostra una "ammirata attenzione nei confronti sia dell'epistemologo che del politologo". Beh, è davvero un bel passo avanti. Facendo infatti la storia delle venture e delle sventure di Popper, si può rilevare che il "razionalismo critico" dell'epistemologo non ha mai disturbato più di tanto gli addetti ai lavori delle società totalitarie o autoritarie. Quale minaccia potevano rappresentare per i pifferai della rivoluzione e delle leadership carismatiche le argomentazioni contenute nella prima, e fondamentale, opera del pensatore, e cioè in "Logica della scoperta scientifica"(1934)? Ne è noto il "fulcro": "Le teorie non sono 'mai' verificabili empiricamente. A dire il vero, già il Popper "critico", chiedendo continue verifiche per distinguere una teoria scientifica da una teoria metafisica, mette in discussione i sistemi filosofici chiusi come lo storicismo e il marxismo, e di conseguenza parte lancia in resta contro il determinismo economico e il profetismo ideologico-politico che lo accompagna. Ma il vero pericolo per i "gendarmi del pensiero" viene fuori da un ampio e argomentato studio come "La società aperta e i suoi nemici"(1945). È di fronte a un libro del genere che scattano censure del silenzio e reazioni polemiche. Lo svelano Hubert Kiesewetter e Dario Antiseri ("La società aperta di Karl Popper", Rubbettino, pp. 91, euro 8), raccontando le vicende editoriali di "un'opera scritta tra difficoltà e accolta tra sospetti e ostilità". Le "difficoltà" erano davvero pesanti. La stesura del saggio inizia infatti nel 1938 a Cristchurch, in Nuova Zelanda, dove Popper, costretto ad emigrare dall'Austria dopo l'Anschluss hitleriano, è approdato insieme alla moglie. Il nostro insegna all'Università, ma le spese sono tante, e poi c'è da star dietro a questo libro che già egli avverte come "cruciale". Ci lavora giorno e notte, con fatica, anche perché di materiale da consultare nella locale biblioteca ne trova poco. Ma la cosa più amara è che la fatica non dà frutto, almeno non lo dà subito. Gli editori americani presso i quali un vecchio amico di Popper, Franz Hellin, ha caldeggiato la pubblicazione del libro, dicono no. E lo stesso fanno quelli inglesi. Perché questo rifiuto per un'opera che dopo il 1945 avrà una risonanza mondiale? Popper non ha difficoltà a spiegarselo: l'ostilità deriva dal fatto che lui ha osato mettere in discussione "l'idolatria verso i grandi nomi e verso le grandi autorità intellettuali", addirittura ha osato dire che la "distruzione" di questa idolatria è "uno dei presupposti necessari per la guarigione dell'umanità". Ed è ovvio che il più grosso e il più venerato di questi idoli è il marxismo. Ebbene, l'antimarxista e anticomunista Popper dà noia ad un Occidente che, per battere Hitler, si è alleato con Stalin e magari lo mitizza. Tanto più dà noia agli intellettuali di sinistra che venerano la nuova "divinità" rossa. La "scomodità" di Popper, l'avversione dell'" intellighentsia" nei suoi confronti, si rafforza ai tempi della "guerra fredda": lo studioso austriaco, fiero avversario di quell'"economicismo che riduce tutto a una realtà basilare, e cioè alle condizioni economiche" e di tutte le utopie che, in nome dello Stato "perfetto" e dell'"uomo nuovo" innescano oppressione totalitaria e sistemi polizieschi, è, per usare la terminologia leninista, un "nemico oggettivo". Ecco, allora, l'impegno vòlto a distruggere chi vuol distruggere le ideologie dell'illibertà. Un impegno tanto pervicace che solo nella prima metà degli anni Settanta, grazie al coraggio dell'editore Armando, "La società aperta" sarà tradotto in edizione italiana. E se "Rinascita" e "Critica Marxista" lo liquidano come "maccartista", crociani e gentiliani si mostrano diffidenti. Ma già si segnalano "aperture". Scendono in campo per Popper scienziati della politica "liberali" come Francesco Barone, Marcello Pera, Luciano Pellicani. E sull'"Osservatore Romano" compaiono apprezzamenti nei confronti della "Società aperta". E i comunisti? Beh, aspettano "la caduta del Muro" e il tonfo di Marx…