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«Tristano e Isotta» Una prima sublime con commozione

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Parterre de Rois, tuttavia, come sempre per la serata evento, non solo per la presenza del presidente Napolitano, ma anche per quella dell'emiro del Qatar, di tre ministri italiani (tra cui Rutelli) e ben diciannove stranieri, oltre a tante personalità politiche e del mondo industriale, da Letta a Confalonieri e De Bortoli. In scena si evocava Tristan und Isolde, capolavoro del musikalisch drama romantico. Difficile raccontare dal di dentro il dramma di un amore impossibile come quello dei due amanti medioevali, un amore socialmente scorretto ma moralmente giustificato dalla ineluttabilità del filtro d'amore che unisce indissolubilmente sin oltre la morte la regina con il più fido araldo del Re. Solo un genio come Wagner, in cui i temi musicali si fanno quasi personaggi, poteva riuscire a conferire una dimensione universale a un dramma in tre atti quasi senza azione, o meglio con una travolgente metamorfosi (dall'odio all'amore) davvero tutta interiore. Un titolo, quello del Tristan und Isolde, sul quale sono stati versati fiumi di inchiostro, e non sorprende che anche un wagneriano della prima ora come il regista Patrice Chéreau, che nel 1976 firmò con Boulez un iconoclasta Ring per il centenario del Festpielhaus di Bayreuth, abbia atteso a lungo prima di approdarvi. Lo fa però ora, quasi trent'anni dopo quello storico battesimo wagneriano, al fianco di un altro wagneriano doc come l'argentino Daniel Barenboim, accanto al fedele scenografo Richard Peduzzi e per un'occasione importante come l'inaugurazione della Scala affrontando un'opera che non solo ha cambiato col suo ambiguo e destabilizzante cromatismo esasperato il futuro della musica occidentale sino a Schoenberg ed oltre, ma che ancor oggi cambia interiormente, a detta dello stesso Barenboim, chi la ascolta. Una vera e propria iniziazione musicale sul tema della irrefrenabilità dell'amore che si invera solo dopo la morte nell'annullamento della momentanea divisione corporea: Eros che sconfigge Thanatos. Alla Scala Tristan mancava da quasi trent'anni e quando la bacchetta si leva su quel condensato di musica che è l'incandescente Preludio, si avverte netta la sensazione di essere alla presenza di una serata musicalmente straordinaria. Chéreau a sorpresa invece che in una Cornovaglia immaginaria e nel nebbioso nord ambienta il dramma in una dimensione senza tempo e senza luogo ma dinanzi ad un vetusto muro, pare della antica Roma, città densa di ruderi che siglano il trascorrere del tempo e delle eterne rinascite. Ed è un lembo delle Mura aureliane, segnate dalla storia, il passepartout dell'opera a fare da sfondo al primo tempestoso atto, per schiudersi poi nel secondo a un gruppo di cipressi e diventare infine cimiteriale e spettrale nell'epilogo del desolato Liebestod. La nave che porta Isotta dal promesso sposo in Cornovaglia assume così la figura di uno spaccato tra quelle antiche mura, quasi un ponte levatoio, una chiatta invasa da valige e bagagli tra mozzi e marinai. Unico segno del mare il dominante azzurro, in diverse sfumature. L'abissale distanza che separa inizialmente i due amanti (un'isterica e recalcitrante Isotta, un infrigidito e attempato Tristano) sprofondati dal filtro magico negli abissi dell'amore, sembra d'incanto spezzarsi in un crescendo emotivo che dopo il filtro rende i due per sempre condannati ad un male d'amore incurabile. Ed il muro antico riappare nello spoglio palazzo reale tagliato da luci sinistre in cui il senso di annientamento di un amante nell'altro si realizza nel celebre duetto d'amore. Se la musica è per eccellenza, come dicevano i romantici, il linguaggio dei sentimenti, Tristano è certo la quintessenza della musica, perché permea di sé quei sentimenti abissali. Alla fine consensi per tutti: per la coerente regia di Chéreau, dettagliata, esplicita e rigorosa (anche se a Sgarbi le scene di Peduzzi sono parse grottesche) come per la travolgente e curatissima lettura di Barenboim. Eccellente il cast con una superba Waltraud Meier come Isotta che trascolora dall'isteria alla passione travolgente, la giunonica Brangania di Michelle De Young, il perentorio e carismatico Marke di Matti Salminen che perde i segni della regalità, il cangiante Tristan di Ian Storey. Ripetute chiamate alla ribalta degli artisti ad ogni finale di atto per un Tristano metafisico e contemporaneo.

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